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24 Set

Una “sartoria” preistorica in Marocco

Vestire, una passione che per gli uomini persiste da almeno 120mila anni. Siamo nella grotta di Contrebandiers in Marocco, non distanti dalla costa atlantica. Qui dieci anni fa sono stati scoperti i resti un’antica «sartoria», fornita di ben 62 strumenti in osso e oggi conosciamo la loro funzione: erano utilizzati per la lavorazione specifica di pellicce. I reperti hanno un’età compresa tra i 90 e i 120mila anni, e sono stati prodotti dall’homo sapiens, nostro antenato diretto. Sono i resti di vestiario più antichi mai scoperti.

Su quelle ossa sono presenti tracce di pelle di tre piccoli animali selvatici, tutti carnivori, come volpi, gatti selvatici e sciacalli dorati. Grazie alle analisi effettuate, è stato possibile ricostrire l’intero processo: nello scuoiare le bestie, l’obiettivo primario dei nostri antenati era quello di produrre pellicce, e solo in un secondo momento di mangiarne le carni. Proprio studiando la dieta dell’homo sapiens l’antropologa Emily Yuko Hallett del «Max Planck Institute for the Science of Human History» a Jena, in Germania, ha eseguito questa straordinaria scoperta. «Non me l’ho aspettavo – racconta Hallet – e mentre esaminavo le circa 12mila ossa di animali presenti nella grotta, ho notato che avevano una forma diversa, non naturale. Erano lucide e presentavano delle striature». Alcuni lavoratori ancora oggi lavorano la pelle tramite ossa animali.

L’antropologa spiega che  l’elemento più interessante di questa scoperta è l’aver capito che la flessibilità tecnica fosse una caratteristica fondamentale dell’uomo fin dalla Preistoria. «La versalità sembra essere alla radice della nostra specie, e non una prerogativa acquisita dopo che l’homo sapiens si è spostato dall’Africa all’Eurasia» sottolinea la ricercatrice.

Secondo Hallet, i segni presenti sulle ossa, suggeriscono che la produzione di vestiti fosse iniziata addirittura in un tempo precedente, nell’età dell’uomo di Neanderthal. Mancano ancora evidenze scentifiche, ma è altamente probabile che anch’egli utiizzasse le pellicce per proteggersi dal grande freddo in cui viveva. «La mia speranza è che anche gli studi degli archeologi che lavorano in siti precedenti  vadano in questa direzione», conclude la ricercatrice.

Da La Stampa

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