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1 Nov

Futurismo! Dialoghi tra artisti a Roma

E’ sempre con piacere che scriviamo di una nostra passione adolescenziale, il Futurismo: una delle più straordinarie correnti artistiche europee, l’ultima grande avanguardia italiana, rispetto alla quale, tutto ciò che è venuto dopo, almeno nel nostro paese, tranne qualche eccezione, ci appare poco più che impacciata balbuzie. L’occasione ci viene offerta dalla mostra allestita nella galleria romana Futurism & Co, una galleria sorta cinque anni fa con l’obiettivo precipuo di raccontare il Futurismo, le sue molteplici intersezioni con le correnti artistiche coeve, ed il suo inesauribile lascito di cui hanno goduto e di cui ancora godono – talora inconsapevolmente- generazioni di artisti. “Analogie”, questo il nome della mostra ideata da Massimo Carpi e curata da Andrea Baffoni.

Numerose – e in prevalenza di piccolo taglio- le opere (provenienti in gran parte dalla collezione dell’ideatore) assembrate nel breve perimetro dello spazio espositivo dove il raffronto avviene per forza di cose, per obbligata contiguità spaziale come nelle quadrerie dei tempi che furono. Picasso, Klee, Kandinsky, Ernst, Mirò, Kokoschka duettano – e idealmente interagiscono – con Balla, Prampolini, Boccioni, Carrà, Depero, Sironi.

Enrico Prampolini, Simultaneità architettonica, 1921 ca, olio su tavola

Ne risulta, nel complesso, un clima estetico sinfonico, agitato dalla ricchezza emotiva delle cromìe, dall’impellenza compenetrativa delle linee e delle superfici, dalla ricerca della trama extrasensibile sottesa alla realtà materica della visione. Erano, quelli, gli anni in cui la fisica si volgeva all’infinitamente piccolo quantizzando lo spazio ed il tempo; ed in cui, d’altro canto, la teosofia e lo spiritismo raccontavano di mondi sottili affollati da forme-pensiero, da inquiete entità astrali, da saettanti linee di forza. E  c’erano anche, a modulare quel clima effervescente, il positivismo, ancora in auge, tradotto, nella sua rifrazione estetica, in idolatria della macchina e delle forme meccaniche;  la dottrina psicanalitica, con  la sua vulcanica orografia subliminale; e una forma ingenua di darwinismo – tuttora presente in certi ambienti più o meno culturali – che si declinava nel binomio passatismo-futurismo e nell’aureo miraggio del progresso. “Il mio interesse per il Futurismo è nato dal fatto che da giovane sono stato sempre un creativo – ci racconta Massimo Carpi – in quanto la mia prima attività è stata di stilista di moda; avevo una mia casa di moda che ho chiuso nel 2001. Nel frattempo sono diventato appassionato d’arte con i consigli di un amico gallerista, e mi sono dedicato al Futurismo, cioè a quell’avanguardia che ha determinato tutto il percorso del Novecento italiano: l’astrattismo, l’informale (Prampolini), l’arte povera, per non parlare della moda, della poesia visiva…ancora oggi gli artisti moderni si ispirano in qualche modo ai futuristi. Nella nostra prima mostra abbiamo confrontato Piero Dorazio e Giacomo Balla…era chiaramente visibile l’influenza del maestro torinese”.

Wassily Kandinsky, Mittengrun, 1932. Acquerello, gouache, penna e inchiostro su carta

Curiosando tra le opere esposte troviamo nomi di futuristi dimenticati come Farfa (pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini), Massimo Castellazzi (più noto per la sua attività di architetto), l’aeropittore Giulio D’Anna, Lucio Venna (pseudonimo di Giuseppe Landesmann), Gino Galli, Francesco Cristofanetti.  E infine ci ha incuriosito una composizione a tempera di un artista anonimo proveniente dall’atelier di Balla. Cerchiamo ragguagli e li troviamo compulsando il pregevole catalogo: durante un colloquio con le figlie di Balla nella casa di Via Oslavia, Massimo Carpi ed il critico d’arte Massimo Duranti ebbero modo di visionare una cartella di disegni realizzati da frequentatori di casa Balla, che, contagiati e stimolati dal maestro, si cimentavano nello stile futurista.

 

Luigi Capano

Da ArtsLife

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