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8 Feb

40 artisti al Madre di Napoli ripensano alla natura

L’accelerazione del riscaldamento globale, l’innalzamento dei mari, l’estinzione in massa di numerose specie, recenti anomalie meteorologiche, gli incontrollabili flussi e infiltrazioni di tossicità: questa situazione in costante aggravamento non può essere separata dal paradigma europeo moderno che concepisce la natura come un serbatoio di risorse da sfruttare liberamente per il profitto. Rethinking Nature – al Madre di Napoli fino al 2 maggio 2022 rivela come l’arte contemporanea stia contribuendo a una serie di processi culturali e politici in grado di ripensare collettivamente i fondamenti etici dell’esistenza nel mondo, facendo luce sulle forme di interconnessione che legano l’intero pianeta. Il progetto articola dei vocabolari creativi sperimentali volti a produrre forme alternative di conoscenza e di pratica sociale incentrate sull’ecologia politica, dimostrando l’urgenza di costruire relazioni basate su valori nuovi e di attuare un cambiamento radicale per affrontare una crisi che da tempo è presente in molte geografie e che la teorica Elizabeth Povinelli di Karrabing Film Collective definisce “ancestrale”. Lo scrittore indiano Amitav Ghosh ci ricorda nel suo libro La grande cecità: Il cambiamento climatico e l’impensabile (2016), che i popoli indigeni hanno già vissuto la fine del mondo e hanno trovato il modo di sopravvivere”. Sono loro ad aver vissuto per primi la crisi climatica: agricoltori, pescatori, Inuit, popoli indigeni, popoli delle foreste in India, hanno già dovuto adattarsi, principalmente spostandosi, trovando nuovi mezzi di sussistenza”, scrive Ghosh.

Ivano Troisi, Cova, 2021, carta fatta a mano, pietre, idrocarburi. Commissionato per Rethinking Nature, MADRE, Napoli 2021

Ivano Troisi, Cova, 2021, carta fatta a mano, pietre, idrocarburi

Rethinking Nature si apre con opere di artisti italiani e internazionali che riflettono sulle radici storiche e filosofiche di una visione imperialista della natura in quanto fonte di guadagno di cui appropriarsi, considerando come tali dinamiche di dominazione siano perpetuate attualmente dal sistema economico globale. I dipinti e le sculture dell’artista argentina Adriana Bustos mappano iconografie relative alla sistematizzazione delle relazioni fra esseri viventi, presentando una lettura critica del determinismo che ha dominato le scienze naturali e mostrando come queste abbiano storicamente normalizzato una serie di processi coloniali e razziali. “Bestiario de Indias I” propone immagini dalle cronache dei coloni europei in Sud America, che hanno storicamente prodotto una rappresentazione mostruosa dei popoli e degli animali locali, al fine di sostenere ideologicamente l’esproprio di tali terre. “Fires” si ispira al trattato scientifico Mundus Subterraneus (1664) di Athanasius Kircher, il cui nucleo concettuale, sviluppato anche grazie ad una visita al Vesuvio, considerava il mondo organico e quello inorganico come interconnessi e caratterizzati da processi olistici. Karrabing Film Collective presenta una nuova costellazione di opere video e delle mappature concettuali – o “Weather Reports” – che svelano come lo sguardo coloniale perfezioni la propria cartografia mentre distrugge mondi. Giustapponendo la migrazione della famiglia Povinelli dalle terre di famiglia nelle Alpi italiane a quelle dei coloni negli Stati Uniti con la storia dell’espropriazione delle terre ancestrali dei Karrabing nel nord dell’Australia, “Weather Reports” riassume cinque secoli di storia per evocare i drammatici sconvolgimenti ecologici e geografici scaturiti dall’affermazione del controllo europeo sul destino di territori, luoghi e popoli.

Maria Thereza Alvez con Ke'Y Rusù Katapyry & Verà Poty Resaka, Decolonising Botany, 2020, acquerelli, speakers, miniMac. Commissionato per Rethinking Nature, MADRE, Napoli 2021

Maria Thereza Alvez con Ke’Y Rusù Katapyry & Verà Poty Resaka, Decolonising Botany, 2020, acquerelli, speakers, miniMac.

Proseguendo il percorso di mostra, una serie di progetti artistici porta l’analisi al giorno d’oggi, illustrando pratiche attuali di sfruttamento delle risorse naturali, che, protette da politiche governative e multinazionali, sopprimono le istanze critiche di numerose minoranze e indeboliscono ecosistemi delicati e complessi. Nelle sue sculture, Giorgio Andreotta Calò indaga la nozione di risorsa” per affrontare le ripercussioni ecologiche e sociali dei processi estrattivi. L’installazione “Produttivo” comprende una serie di carotaggi ottenuti dall’archivio della Carbosulcis S.p.A., ultima azienda attiva in Italia nell’estrazione del carbone, le cui attività sono state interrotte nel 2017. L’artista ecuadoriano Adrián Balseca indaga lo sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro in Sud America in relazione allo sviluppo dell’industria della gomma nell’Amazzonia nei secoli XIX e XX, quando gli europei si resero conto delle potenziali applicazioni dei derivati dell’albero, già utilizzati dalle popolazioni indigene.

Marzia Migliora, Paradossi dell'abbondanza #38, #39, #44, 2020 21, disegno, collage, mixed media su carta

Marzia Migliora, Paradossi dell’abbondanza. Disegno, collage, mixed media su carta

Il progetto Agricola Cornelia S.p.A. di Gianfranco Baruchello, iniziato negli anni Settanta nella campagna romana come esperimento artistico sull’agricoltura e la giustizia sociale, indaga la capacità dell’arte di rispondere a problemi quali la scarsità di cibo, proponendo forme di lavoro anti-sfruttamento ed esplorando nuove forme relazionali con ciò che non è umano e con gli elementi naturali. Una nuova generazione di artisti, oggi, sviluppa progetti di agricoltura comunitaria su piccola scala, quali INLAND, creato nel 2010 da Fernando García-Dory nel nord della Spagna, e Amakaba, una fattoria di cacao, allevamento di api e giardino di tintura fondato recentemente da Tabita Rezaire nella foresta amazzonica della Guiana francese. Queste iniziative artistiche immaginano risposte alla crisi ecologica affermando una responsabilità collettiva e promuovendo un nuovo concetto di giustizia climatica.

© Madre Napoli

© Madre Napoli

La mostra prosegue attraverso pratiche multidisciplinari incentrate sulla spiritualità, la guarigione e i saperi tradizionali, articolando l’urgenza di sviluppare relazioni etiche con l’ambiente e il pianeta che implichino gli ecosistemi invisibili. Una serie di artisti coltivano forme di pensiero relazionale che rompono divisioni umano-natura emerse nelle scienze illuministiche europee, dando valore all’intelligenza delle rocce, dell’acqua, delle piante e degli animali. L’opera video “Karikpo Pipeline” di Zina Saro-Wiwa sovrappone l’infrastruttura dell’estrazione del petrolio all’evocazione di energie invisibili e spirituali, ambientando in una distesa di oleodotti una mascherata Ogoni eseguita da danzatori con maschere di antilope intagliate. La serie di monotipi “Defend Sacred Mountains” di Edgar Heap of Birds raccoglie la toponomastica delle popolazioni indigene del Nord America legata a luoghi di rito, culto e guarigione, per illustrare la frammentazione causata dallo stato-nazione e generare forme di resistenza culturale. La video installazione di Buhlebezwe Siwani, “AmaHubo”, crea uno spazio rituale e narrativo che testimonia, attraverso linguaggi performativi e corporei, la resilienza delle pratiche spirituali connesse alla terra nonostante i tentativi di soppressione a cui gli antenati dell’artista in Sud Africa hanno dovuto fare fronte.

Adriana Bustos, Bestiario de Indias I, 2020, acrilico, gouache e foglio d'argento su tela _ Fires, 2022, acrilico, grafite e foglio d'argento su tela _ Hibridos, 2020 21, fango. Commissionato per Rethinking Nature

Adriana Bustos, Bestiario de Indias I, 2020, acrilico, gouache e foglio d’argento su tela _ Fires, 2022, acrilico, grafite e foglio d’argento su tela _ Hibridos, 2020 21, fango.

Ampia il progetto di mostra “Pillar”, una grande installazione site-specific degli artisti filippini Alfredo e Isabel Aquilizan che prosegue la loro serie Project Another Country, ispirata ai Badjao, popolo di marinai nomadi del Mare di Sulu. Questa nuova commissione è stata sviluppata a Napoli durante una serie di workshop con gruppi di adolescenti. La cascata di case e giardini in cartone riciclato che attraversa i piani del museo, sospesa ad una barca capovolta, come un rifugio in una tempesta, evoca la storia di Napoli in quanto porto mediterraneo – e le future forme di vita sull’acqua che scaturiranno dall’innalzamento dei mari.

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