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11 Mar

Al cinema, Hitler contro Picasso e gli altri

Otto Dix, Leonie, 1923, Kunstmuseum Bern

La guerra cosa porta via? Certamente in primo luogo vite umane, ma anche sogni, palazzi, proprietà, dignità, speranza e molto altro ancora. Elementi materiali e immateriali, che fanno parte della vita di ogni individuo, con peso più o meno differente per ognuno. Ma poi, a pensarci bene, la guerra porta via soprattutto la bellezza, quella delle persone care e quella delle opere d’arte: vilipese, distrutte, trafugate, per avidità personale oppure per spregio. Da qui parte la vicenda narrata nel documentario Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte (che sarà in proiezione nelle sale cinematografiche il 13 e 14 marzo), in cui si ripercorrono gli avvenimenti che portarono al più grande “sacco” di opere d’arte che la storia moderna ricordi. Razzia che fu perpetrata nei confronti di quell’arte che il nazionalsocialismo aveva marchiato come “degenerata” e che comprendeva artisti come Max Beckmann, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Otto Dix, Claude Monet, Marc Chagall, Paul Cézanne, El Lissitzky, Pablo Picasso, Paul Gauguin, Pierre-Auguste Renoir. Una storia già nota: narrata in forma hollywoodiana da George Cloney nel film Monuments Men, e da altre pellicole d’inchiesta.

Ernst Ludwig Kirchner, Due nudi sul letto, 1907-1908, Kunstmuseum Bern

Vari sono i protagonisti del documentario: i collezionisti e proprietari delle opere, soprattutto ebrei, a cui con vari stratagemmi venivano portati via i propri averi. Compiacenti mercanti che al soldo del regime nazista, barattavano con i legittimi proprietari visti per espatriare contro la cessione definitiva di intere collezioni, non solo di quadri, ma anche di statue e oggetti rinascimentali. E se il baratto non poteva essere fatto, per il rifiuto da parte dei possessori, trovavano la maniera di sottrarre il tutto in altro modo. Ma come maggiori protagonisti a capo di questo abissale saccheggio, si ergono le due figure più importanti del regime nazista: Adolf Hitler e Hermann Göring; che dal 1937 “battagliarono” a vicenda per conquistare il maggior numero di opere d’arte. Il primo per costruire il “Louvre” di Linz (progetto architettonico di una grandissimo museo per rendere più potente il Reich, che però rimase solo sulla carta), e l’altro per la propria galleria privata. Un vero e proprio saccheggio, visto che si stima che dai musei tedeschi e dai collezionisti ebrei vennero sequestrate circa 16.000 opere; numero che aumenta a 5 milioni se si prende in considerazione tutta Europa.

Toni Servillo

L’inizio della narrazione prende il via dalle due mostre che il regime nazista inaugurò a Monaco nel 1937, a poca distanza una dall’altra, in cui si esponevano da una parte la Grande Arte Germanica, ispirata al classicismo, e dall’altra quella “degenerata”, dove capeggiavano scritte come «Incompetenti e ciarlatani» oppure «Decadenza sfruttata per scopi letterari e commerciali». Da quelle mostre sono passati 80 anni e il ritrovamento di gran parte delle opere non è ancora avvenuto. Alcune di esse sono state esposte nel  2017 in quattro mostre organizzate a Berna, Bonn, Parigi e Deventer, in Svizzera; e proprio da queste esposizioni il documentario (diretto da Claudio Poli, su soggetto di Didi Gnocchi, con la voce narrante di Toni Servillo e un intenso commento sonoro composto da Remo Anzovino) inizia a raccontare le vicende legate alle sparizioni e ai ritrovamenti, intervistando gli eredi dei collezionisti, storici dell’arte e scrittori che si sono occupati dell’argomento, direttori di musei e di gallerie d’arte e l’avvocato Christopher Marinello, esperto di recupero d’opere d’arte e fondatore dell’Art Recovery International che assiste gli eredi nelle cause per la restituzione.

Liberazione di Berchtesgaden e recupero della collezione Goering ad opera della 101st Aiirbone Division. Courtesy of National Archives & Records Administration

Se la vicenda del saccheggio da parte dei nazisti può apparire una storia datata, il documentario ci mostra di quanto questa “caccia” al recupero del bottino sia ancora aperta. Infatti un altro punto focale della narrazione viene individuata nel recupero delle opere d’arte nascoste da Cornelius Gurlitt. Solo un banale controllo doganale nel 2010 su un treno tra Zurigo e Monaco, fa scoprire Gurlitt in possesso di 9000 euro di cui non riuscì a giustificare la provenienza. Da qui iniziarono i sospetti su di lui, e nella perquisizione del 2012 della sua casa di Monaco vennero recuperate 1280 opere (e altre 200 successivamente in una cassetta di sicurezza presso Salisburgo), che facevano parte del bottino che il padre Hildebrand (uno dei mercanti d’arte vicino al regime) portò via agli ebrei, comprandoli per pochi soldi o razziandoli nei territori occupati. Le opere recuperate appartengono soprattutto ad artisti della Nuova Oggettività, del gruppo “Die Brücke” e del “Cavaliere Azzurro”, ma vi sono anche opere di Cézanne, Gauguin, Monet, Renoir.

Per concludere possiamo dire che il documentario Hitler contro Picasso e gli altri ha il pregio di riportarci indietro nel tempo ad alcune vicende che ci possono apparire lontane, e forse per questo da dimenticare, ma che sono molto attuali se si leggono bene le cronache di guerra provenienti da ogni angolo del mondo, dove accanto alle tragedie umane si consumano quelle dell’arte. Perché l’arte non è solo un atto culturale o di intrattenimento, è molto di più. Come Picasso ebbe a dire (e riportato anche nel film): «Un artista è un politico, attento agli eventi strazianti, ardenti o dolci del mondo. Com’è possibile essere indifferenti agli altri uomini? La pittura non è fatta per decorare appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico». Un atto d’accusa e di presa di coscienza che dovrebbe farci pensare ancora oggi.

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