Quest’estate a Cortina, Farsettiarte rende omaggio ai sogni e all’immaginazione del Surrealismo (ne abbiamo parlato poche settimane fa, qui). Dall’1 agosto al 4 settembre saranno esposti capolavori dei fondatori del movimento come Dalí, Miró, Magritte e Picasso affiancati ad autori contemporanei come il grandissimo Piero Gemelli, il mio “Artista della Settimana” e uno dei fotografi italiani più importanti a livello internazionale. Per lui il surrealismo è la libera associazione di pensieri e immagini senza (apparentemente) freni o regole, che ci permette di dare corpo e di analizzare le nostre reali attitudini e i desideri perché questi ci aiutino a trovare risposte alle nostre incertezze. Parlando poi della definizione scritta da Breton nell’autunno del 1924, Piero mi confessa «credo che la definizione resti valida, attuale e di grande conforto in un periodo di precarie incertezze e tentativi di seguire programmi precisi».
“Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale” (André Breton, Manifeste du Surréalisme, 1924)
Quando si osserva una creazione di Gemelli è quasi naturale chiedersi se l’opera d’arte è la fotografia o il (s)oggetto fotografato. Certo, perché la radice di architetto è ben presente nelle opere di Gemelli che, appunto, nasce a Roma come architetto prima di decidere di trasferirsi a Milano, lì inizia una veloce carriera come fotografo pubblicando la sua prima immagine iconica nel numero di Alta Moda di Vogue Italia del 1983. Da lì partì tutto, fu l’evento che trasformò la sua passione in professione, portandolo a realizzare importanti campagne e immagini pubblicitarie per marchi quali Tiffany, Gucci, Ferrè, Lancôme, Estée Lauder, Revlon e Shiseido, collaborando intensamente con Vogue e altre prestigiose riviste di monda, sia italiane che internazionali.
Ogni sua immagine parla e spinge a guardare nel profondo del proprio animo grazie alla sua incredibile capacità di trasformare e di dare vita a tutto ciò che trova davanti all’obbiettivo: che siano persone od oggetti, la personalità emerge sempre ed è una delle qualità che ha distinto Gemelli fin da subito nell’ambito della fotografia e che si potrà ammirare nell’opera in mostra – al Farsettiarte di Cortina a partire dall’1 agosto – che, in realtà, fa parte di una serie di quattro fotografie sul tema del ritratto che furono oggetto di uno shooting redazionale per l’Uomo Vogue negli Anni ’80. «In quegli anni le mie fotografie di Still Life erano tutte centrate su oggetti, assemblaggi scultorei, che costruivo io per poi fotografare. Di loro resta la foto che ne testimonia l’origine, ma anche l’oggetto scultoreo stesso che oggi ha con sé la trasformazione del tempo. Io, con lo Still Life non facevo accostamenti momentanei per uno scatto; costruivo piccole “sculture” che vivessero di vita propria».
Oggi, oltre a occuparsi di fotografia, Gemelli lavora anche come direttore artistico e architetto nell’ambito del design e dell’arredamento, e affianca al suo lavoro professionale una propria produzione artistica di fotografia e grafica.
Piero, iniziamo con la prima domanda che faccio a tutti i “miei” Artisti: in quale momento della sua carriera ha iniziato a percepirsi come artista?
«Artista è un termine di molteplici interpretazioni ed oggi forse ampiamente abusato. Non sono io a definirmi artista, ma piuttosto chi, analizzando il mio lavoro, trova che abbia in sé coerenza, ricerca e corrispondenza di pensiero. Se vogliamo chiamare Artista chi nella libertà di esprimersi produce opere che portino in sé un segno di specifica e riconoscibile creatività beh allora dovrei dire che quel momento di coscienza da una parte è individuabile giusto al tempo di questa opera esposta (1989) ma da un’altra parte ogni giorno la domanda esatta è “chi sono io rispetto alla mia opera?”».
Dove sta andando la fotografia?
«Corre veloce, travolta dalla sua stessa velocità e riproducibilità e direi anche dalla sua universale comprensibilità e facilità di realizzazione. Aveva un valore di (supposta) verità, un documento del vero, oggi ha definitivamente perso anche questa sua antica specificità a seguito della facilità di manipolazione tra filtri e interventi attenti di post-produzione. Corre veloce ma resterà sempre ad affascinarci la sua magica illusione di fermare il tempo che più veloce di lei travolge e modifica ogni cosa».
Lei è un artista poliedrico (architetto, fotografo, scultore, per citarne alcuni), ideatore di progetti e opere memorabili che hanno resistito alla prova del tempo ma può la fotografia, da sola o applicata ad altre forme d’arte, produrre cambiamenti nella società?
«Accetto con piacere che lei mi definisca poliedrico ma alla fine l’arte è un terreno osmotico in cui confluiscono creatività differenti, il confine si fa sottilissimo tra arte, fotografia e vita; del resto viviamo in un mondo in cui tutte le discipline si ibridano e si influenzano continuamente. Per quanto riguarda il mio lavoro cerco di filtrare tutto attraverso la mia sensibilità. In questo sono surrealista, perché la razionalità a volte ci inganna e rende ciechi, proprio come Dalì, Magritte, Miró, Ernst e gli altri artisti che hanno abbracciato il surrealismo dichiarando guerra alla dittatura della ragione».
Secondo lei c’è qualcosa che minaccia la “sua” arte?
«Credo che l’Arte tutta sia sempre minacciata da quella che viene comunemente chiamata la tirannia della maggioranza, la discesa del brutto, un livellamento verso il basso davvero impressionante. In Fotografia la tecnologia offre a tutti la possibilità di fare una foto “bella”. Ma l’Arte, ce lo insegna la sua avvincente storia, è un inesorabile atto di resistenza».
E c’è qualcosa che, al contrario, la esalta?
«C’è una frase, che io non sopporto, cioè che la bellezza salverà il mondo. In realtà credo sia più interessante capire chi dovrebbe davvero salvare la bellezza, che peraltro è un mistero indicibile, però le dico che quando riesco a realizzare un’idea che avevo in mente, li per un attimo mi sento appagato e felice. Avendo studiato architettura preferisco sempre trasformare un sogno, più aleatorio, in un progetto concreto».
Per chiudere l’intervista, chiedo sempre al mio ospite l’ultima musica ascoltata…
«Non è l’ultima che ho ascoltato ma la domanda ha generato automaticamente una risposta salita dall’inconscio. La mia musica è The dark Side of the Moon (Pink Floyd, 1973). In quell’anno, studente di architettura, lavoravo ai miei progetti di esame con quella musica a volume alto intorno a me. Quella musica ha fatto da colonna sonora al “progetto di me”».
Ma la storia di Piero Gemelli e del suo lavoro giocato tra arte e fotografia è ancora molto lunga e interessante. Consiglio il suo ultimo libro – Piero Gemelli, fotografia e storie immaginate – pubblicato nel febbraio di quest’anno da Editori Paparo e curato da Maria Vittoria Baravelli, disponibile qui. Scoprirete immagini, disegni e pensieri emersi dal suo archivio e raccontati attraverso una polifonia di voci autorevoli. Prometto, lo leggerete tutto d’un fiato.
Anteprima del libro Piero Gemelli, fotografia e storie immaginate
1Commento