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27 Mar

Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900 a Trieste

Inaugurata a Trieste la mostra “Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse”, presenti i curatori Vincenzo Sanfo, Anna Alberghina e Bruno Albertino, allestita in Porto Vecchio, nel grande attrattore culturale del Magazzino 26 (Sala Carlo Sbisà). Prodotta da Navigare in co-produzione con Diffusione e Cultura e promossa dal Comune di Trieste con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismoFVG, l’esposizione sarà aperta fino al 30 luglio 2023, da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00, sabato, domenica e festivi, dalle ore 10.00 alle ore 20.00.

“Il Comune di Trieste ha accolto con entusiasmo la proposta di allestire in uno dei più grandi magazzini portuali d’Europa la mostra sull’Arte africana e sul suo influsso sui grandi artisti del Novecento” – ha affermato l’Assessore alle Politiche della Cultura e del Turismo Giorgio Rossi, presente il Consigliere dell’Ambasciata del Congo Grégoire Kandza che ha definito la mostra “un momento di gioia”. “Artisti che hanno segnato una rivoluzione culturale come quella che oggi sta rinnovando questa straordinaria parte di Trieste: una nuova Città della Cultura e della Scienza, in un’area del Vecchio Porto Franco, nella quale il grande attrattore culturale del Magazzino 26 sta già offrendo 50.000 mq di spazi espositivi, e su cui stanno investendo le istituzioni e i portatori di interessi economici”.

“Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse” A TRIESTE DAL 25 MARZO AL 30 LUGLIO 2023

Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse

“Partendo dalle esperienze picassiane” – ha sottolineato Vincenzo Sanfo, presenti anche gli artisti Marco Nereo Rotelli e Rabarama  – “questa mostra ci porta sino ai giorni nostri attraversando percorsi che hanno in comune una visione dell’arte che trae dall’essenzialità delle forme africane ispirazione, generando i papier-decoupe matissiani, le decorazioni tribali di Keith Haring, le surreali visioni di Man Ray, le gioiose figure di Calder accostate alla furia costruttiva di Basquiat. Cosi come le irriverenti maschere di Enrico Baj, le luminose visioni di Marco Lodola e le incursioni di Marco Nereo Rotelli, accompagnate dalla cancellazione picassiana del cinese XuDeqi. Un percorso” – ha concluso Sanfo – “quello pensato per questa mostra, essenziale ma esaustivo di quanto l’arte africana abbia contribuito e continui a contribuire all’evoluzione dell’arte occidentale”.

“L’ammirazione degli artisti moderni per le sculture tribali negli anni dal 1907 al 1914” – afferma il curatore Bruno Albertino, sottolineando la volontà di ricreare in mostra l’atmosfera parigina dell’epoca–“è documentata da fotografie degli interni degli studi, dagli scritti e, naturalmente, dalle loro stesse opere. Picasso, Matisse, Brancusi, Braque apprezzavano dell’arte tribale sia la finezza estetica che la sua essenzialità altamente stilizzata. Anche e soprattutto grazie a questi artisti, la scultura tradizionale è diventata importante ed è stata esposta nei più prestigiosi musei del mondo come il Pavillon des Sessions del Louvre di Parigi”.

“Nella realtà africana” – ha aggiungiunto Anna Alberghina ricordando il valore fondamentale di tutto il Continente africano –“linguaggio estetico, pensiero religioso e struttura sociale sono legati in un’unità inscindibile che è l’elemento caratterizzante la cultura tribale. Se vogliamo comprendere l’Arte africana, dobbiamo, innanzitutto, svuotare la mente della nostra consolidata visione del mondo per la quale il metodo scientifico è l’unico strumento di conoscenza e la realtà fisica l’unica certezza. Nelle società africane tradizionali, al contrario, l’anima è una certezza tanto che tutto ha un’anima. Maschere, feticci, figure di maternità e di antenati popolano il complesso mondo religioso africano, mai creati con una semplice finalità estetica ma per consolidare il legame tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti”.

Il Mito dell’Arte Africana nel ‘900. Da Picasso a Man Ray, da Calder a Basquiat e Matisse

Il percorso espositivo si apre con l’esposizione di circa 100 opere d’arte africana di 100 / 120 anni di vita, tra sculture, maschere e oggetti in gran parte campionati per valutarne l’età attraverso spettroscopia a raggi infrarossi, eseguita sulla Collezione dei curatori Bruno Albertino e Anna Alberghina dal Museo di Arte e Scienza di Milano. Nove le tematiche: Fertilità e maternità, Bamboline di fertilità, Il culto dei gemelli, Le maschere, Gli antenati, Figure magiche, Arte funeraria, I poggiatesta, Gli oggetti d’uso.

Le sculture appartengono integralmente alla Collezione dei curatori Bruno Albertino e Anna Alberghina e sono il frutto di oltre 30 anni di viaggi, collezionismo e studio della materia. Le diverse tematiche sono introdotte da foto evocative della cultura dei popoli africani, scattate da Anna Alberghina proprio in quei luoghi, utili a far entrare il visitatore nella vita dei popoli africani. Sono inoltre proposti dei video, girati dai curatori stessi, che riguardano riti e costumi di alcune popolazioni: danze, cerimonie, riti magici e anche vita quotidiana.

La seconda parte è dedicata all’esposizione di circa 50 opere d’arte del Novecento, nelle quali si coglie perfettamente l’aspetto immortale del mito africano, con una vasta sezione dedicata a Picasso con disegni, litografie, e ceramiche. Si continua con le opere di Matisse, Calder, Gauguin, Man Ray, fino ad arrivare ai più contemporanei Mimmo Paladino, Basquiat e Xu de Qi.

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