Noi che le guerre non le abbiamo vissute e che abbiamo appreso tutto da testimonianze, racconti, libri e immagini, sia fotografiche che video, dovremmo essere grati a chi ci ha permesso di sapere e vedere. Di certo, tra tutte le fonti di comunicazione, quella che più scuote l’animo e ci impressiona è quella visiva. Forse perché più diretta. Io ho una predilezione per le foto, ed è proprio guardando gli scatti di Robert Capa prima, e poi di altri, che ho avuto visione delle atrocità della guerra.
Nato a Budapest nel 1913, Robert Capa in realtà si chiamava Endre Ernő Friedmann, e nella sua breve vita (fu uno dei fondatori dell’agenzia Magnum e morì dilaniato da una mina in Indocina nel 1954) ebbe modo di realizzare reportage durante la guerra civile spagnola (1936-1939), la seconda guerra sino-giapponese (che seguì nel 1938), la seconda guerra mondiale (1941-1945, a Londra, nel Nordafrica e in Italia, ed in particolare lo sbarco in Normandia dell’esercito alleato e la liberazione di Parigi), la guerra arabo-israeliana (1948) e la prima guerra d’Indocina (1954). Dalle parole del fratello Cornell (anche lui fotografo) si inquadra bene chi fosse Robert: «Mio fratello assunse volontariamente l’incarico di raccontare l’inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli: la guerra. La sua capacità di sentirsi vicino a quanti soffrivano in guerra e le sue fotografie hanno trasformato in istanti di eternità non solo gli eventi cruciali ma anche le prove cui erano sottoposti i singoli. Le vicende travagliate di cui è stato testimone furono tragiche, ma quel che gli dava forza erano il senso dell’umorismo e la tendenza a minimizzare il suo stesso coraggio. Queste sono state le sue caratteristiche essenziali, tanto nella vita quanto nel lavoro».
Della produzione di Capa celeberrime sono alcune foto, come quella del miliziano spagnolo colpito a morte, oppure gli scatti “leggermente fuori fuoco” dello sbarco in Normandia, o ancora quella del pastore siciliano che indica la direzione al soldato americano: tutte scattate in bianco e nero. Meno note invece sono le sue fotografie a colori; così a presentarci un nuovo aspetto della sua arte ci viene in soccorso la splendida mostra “Capa in color” allestita nelle Sale Chiablese a Torino, inaugurata il 26 settembre 2020, e che ha dovuto interrompersi con la chiusura del novembre scorso, e che ora viene riaperta fino al 30 maggio. Questa esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione del fotografo al Centro internazionale di fotografia di New York. Le foto presenti sono esposte per la prima volta in Italia, e la collezione è presentata da ICP-International Center of Photography, grazie a ICP Exhibitions Committee e ai fondi pubblici del New York City Department of Cultural Affairs in partnership con il consiglio della città di Torino. Inoltre la mostra è curata dal Centro Internazionale di Fotografia di New York e prodotta dalla Società Ares con i Musei Reali.
L’esposizione presenta oltre 150 immagini a colori, lettere personali e appunti dalle riviste su cui furono pubblicate. Alcuni scatti in mostra sono già comparsi sui giornali dell’epoca, ma la maggior parte delle fotografie a colori non erano ancora stati presentati in un’unica mostra. L’intento dell’esposizione è quello di dare rilevanza al particolare approccio dell’autore verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità di integrare il colore nei lavori da fotoreporter, realizzati tra gli anni ‘40 e ‘50 del Novecento.
Infatti Capa dopo l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale iniziò a osservare il mondo in maniera diversa, cercando di adattare la sua visione alla nuova sensibilità post-bellica, così ebbe modo di scattare foto in una società che stava cambiando e soddisfare la curiosità di un pubblico, reduce dal conflitto, che desiderava divertirsi e conoscere luoghi lontani. Ebbe modo così di portare sulle riviste quali “Holiday” e “Ladies’ Home Journal” (USA), “Illustrated” (UK), “Epoca” (Italia), la vita delle stazioni
sciistiche più alla moda delle Alpi svizzere, austriache e francesi, le affascinanti spiagge francesi di Biarritz e Deauville, e le fotografie di moda scattate a Parigi. Molto interessanti poi sono i ritratti che fece a personalità della metà del XX secolo, tra cui Pablo Picasso, Alberto Giacometti, Capucine, Humphrey Bogart e Peter Lorre; e frequentando i set cinematograficia Ingrid Bergman (nel film “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini), Orson Welles (in “Black Rose”) e John Huston (in “Moulin Rouge”).
Un’altra sezione della mostra è dedicata ai reportage che Capa realizzò durante alcuni suoi viaggi: in URSS nel 1947 con lo scrittore John Steinbeck, in Israele per descrivere la vita dei primi coloni nel 1949-50 e per il progetto “Generazione X” che lo portò a Oslo, a Essen, nel nord della Norvegia e a Parigi, per catturare la vita e i sogni delle giovani generazioni nate prima della guerra.
La mostra di Torino ci mostra un altro volto dell’arte di Robert Capa; un volto meno “forte” di quello legato ai conflitti, che comunque fa trasparire ancora di più la sua grandezza.
Robert Capa © International Center of Photography | Magnum Photos
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