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7 Apr

Artista della Settimana. Ugo Nespolo, l’ultimo artista rinascimentale

Come definire Ugo Nespolo? Anche la parola poliedrico sembra scontata per un artista che ha realizzato così tanto negli ultimi cinquant’anni. Mai legato in maniera assoluta ad un filone, la sua produzione si caratterizza subito per un’accentuata impronta ironica, trasgressiva, per un personale senso del divertimento che rappresenta una sorta di marchio di fabbrica. Uomo davvero coltissimo grazie agli studi e agli incontri con le maggiori personalità del panorama artistico internazionale (Baudrillard, Fontana, Baj, Pistoletto, Merini, Mekas, Warhol, Yōko Ono, Ginsberg, Man Ray e la lista potrebbe continuare) ma anche autentico e popolare, nel senso più alto del termine, perché la sua arte è accessibile a tutti. Non solo quadri ma anche cinema, letteratura, filosofia, scultura, pubblicità, musica, scene e costumi teatrali. Pensa a qualcosa, Nespolo l’ha già fatta.

Fotografia: la New York di Ugo Nespolo alla Reggia di Colorno - OglioPoNews

Fotografia dalla mostra “Wanderer about New York”

Qualche mese fa abbiamo parlato su PressRoom della sua mostra alla Reggia di Colorno (visitabile fino all’11 aprile) che presenta una selezione di quaranta fotografie scattate tra il 1981 e il 1997 nella Grande Mela. In fondo gli Stati Uniti sono stati fondamentali per la crescita e la ricerca artistica di Nespolo e Wanderer about New York mostra proprio come le strade, le vetrine, i graffiti, gli interni delle gallerie e dei musei di New York sono diventati protagonisti dei suoi scatti e, di conseguenza, aiutano a comprendere alcune radici della stessa attività di pittore in quegli anni.

La copertina di “Vizi d’arte” e la copia autografata di Miriam

Convinto che la figura dell’artista non possa non essere che quella di un intellettuale, studia e scrive con assiduità sugli sviluppi dell’estetica e del sistema dell’arte. Recentemente ha pubblicato Vizi d’arte, edito da Skira, che è una raccolta di scritti frutto dell’appassionata ricerca critica portata al torbido cuore dell’Artworld. Studio che nasce in Ugo Nespolo come abbraccio affettuoso ma cosciente della vana ambizione che prova a mimare il personaggio di Thomas Carlyle, nel suo On Heroes, quando lo racconta come artista impavido, solitario e disilluso, sorta di aristocratico dell’intelletto intento a condurci verso autonomi ideali di cultura.

Ho avuto il piacere di parlare con Ugo Nespolo alla vigilia della presentazione di questo saggio artistico a Milano, dove ovviamente sono andata, l’ho acquistato e ho aspettato in fila per farmelo autografare.

Maestro, innanzitutto grazie per avermi concesso questo colloquio. Sono veramente onorata (e un po’ intimidita). Sto per parlare con un artista che ha fatto e continua a fare la storia dell’arte del Novecento declinata in tante tecniche e in tanti filoni ma anche con un intellettuale sopraffino, scrittore, regista e direttore artistico di fabbriche storiche di ceramica e di vetro. Ma partiamo dall’inizio, in quale momento della sua creatività ha iniziato a percepirsi come artista?
«Beh, fin da subito. Ho iniziato facendo gli studi artistici all’Accademia di Belle Arti e mi sono subito laureato in Lettere e Filosofia, poi ancora in Filosofia più tardi. Però l’impulso artistico c’è fin da ragazzo. Ho sempre pensato che fosse quello che mi interessava di più, che mi piaceva di più e che mi dava anche la possibilità più ampia, se trattata e portata avanti in un certo modo».

Ugo Nespolo | Meer

Ugo Nespolo nel suo atelier (photo courtesy © Meer)

Un artista eclettico, di tipo “rinascimentale”. E per questo che chiedo proprio a lei che ha navigato in tanti mari, dove sta andando l’arte? Una domanda abbastanza generica…
«È generica ma è la domanda giusta alla quale, naturalmente, è molto difficile rispondere sinteticamente se non con qualche definizione. Dove va l’arte oggi? L’arte va, a differenza di un tempo, in direzioni disparate. Non ha più delle direttive culturali precise come ai tempi delle avanguardie storiche. Pensiamo all’epoca del Surrealismo e a tutti gli artisti che lavoravano intorno a quei temi della psiche oppure al Futurismo con le sue automobili, la velocità, le compenetrazioni meccaniche etc. Oggi, dopo le ventate post moderne ormai quasi estinte, l’arte si è diffusa a piene mani e forse proprio come diceva il mio amico Jean Baudrillard, uno dei più grandi filosofi del Novecento, più va avanti più va verso la propria autoestinzione in senso tradizionale, cioè forse l’arte è diventata un’altra cosa. È qualcosa che accompagna la società (e forse in questo è anche un bene) nelle sue espressioni minime.
Invece sta ritornando un po’ il tema che avevano già sviluppato gli inglesi, con William Morris in particolare, dell’arte e l’arte applicata (quella che una volta era tanto malvista da parte delle avanguardie puriste) e le cosiddette due sfere di cultura di cui si è sempre tanto parlato: la cultura high e la cultura low. Finalmente, forse, si sono davvero mescolate. Certo l’arte ha perso la sua funzione trascendentale. Forse».

Lavorare, lavorare, lavorare preferisco il rumore del mare (scultura in bronzo), 1999

Una forma d’arte, da sola o applicata ad altre forme d’arte, può produrre cambiamenti nella società?
«Anche questa è una delle domande epocali, no? In realtà l’arte ha sempre accompagnato la società. Partiamo per comodità dal Rinascimento, dall’epoca in cui le arti sono elemento forte del sociale, perché connesse o al principe o alla religione; davano un indirizzo alla società, la testimoniavano. Man mano questa funzione dell’arte come guida si è un pochino ridotta, estinta o perlomeno si è modificata, infatti se io avessi voluto rispondere alla sua domanda – che cos’è l’arte? – nel senso un po’ storicistico avrei potuto dire: è la testimonianza del proprio tempo. In fondo lo è, ma lo è sempre meno perché l’arte oggi ha più una funzione quasi decorativa, di marginalità. Basta guardare le notizie dei telegiornali o anche i giornali stessi in cui l’arte c’è ma è un elemento in più. Se lei andasse per strada a chiedere a qualcuno scusi, mi dica che ruolo ha l’arte per lei nella sua vita vedrebbe molto imbarazzo se non addirittura una chiamata al 113 [ridiamo, ndr]».

Storie di oggi (acrilici su legno), 1990

Forse l’unica forma d’arte che realmente può cambiare la società è l’architettura.
«Sì, è vero. Anche se una volta il connubio fra arte e intervento artistico sugli edifici era più logico, basta pensare ad alcune epoche passate come l’Ottocento e il Liberty. Poi con il purismo, purismo del tipo Bauhaus e Minimalismo, si è cancellato tutto. Tutto bianco, solo muri bianchi senza segni e colori. Per carità!».

Mi può parlare del progetto Casa Nespolo, a Rivoli, ideato insieme allo studio di Architettura Out of Design dell’architetto Marco Bome (un condominio di nuova costruzione, dalle forme geometriche accentuate e dalle diverse sfumature di colore verde e grigi)?
«Certo. In passato avevo già collaborato con diversi architetti come per il progetto della Banca Popolare di Lajatico con Alberto Bartalini, un architetto molto bravo. L’idea rientra sempre nel mio discorso di cercare di lavorare ad ampio raggio. Il punto è che ho lavorato sempre prendendomi un rischio, in senso eclettico, perché non mi sono mai limitato a fare solo i miei quadri o le mie cose. Ho sempre cercato di dare alla figura dell’artista (parlo della mia, ovviamente) che non è esaustiva ma è quella di chi lavora con tecniche diverse, con concetti diversi, che può scrivere se vuole scrivere…cioè l’arte che cerca di occupare tutti gli spazi, giocando anche con sorprese e lavorando a cose che non ti aspetti. Come quando ho collaborato con Porsche o per le moto Ducati e BMW o ancora con Piaggio per la sua Vespa. Ecco, la casa di Rivoli ha senso in questo ambito».

Casa di Nespolo, Rivoli (photo courtesy © Artribune)

.La sento ripetere molto la frase “ciò che costa vale”.
«Perché l’arte ormai si è ridotta, almeno nella maggioranza dei casi, a un lavoro fatto. Che l’arte sia una merce tra le merci non l’abbiamo scoperto noi, l’aveva detto anche Marx, ma oggi è diventata una commodity un po’ come la soia, i maiali o il piombo. Quindi l’opera d’arte è diventata oggetto d’investimenti. Che l’arte valga soltanto per il suo potere economico è un altro tema ancora: chi compra le opere d’arte quasi sempre cerca di comprare quello che gli si dice di comprare perché “lì sarà un buon investimento”. Un suggerimento quasi sempre sbagliato. E qui torniamo al tema di ciò che costa vale. Se lo fai costare di più varrà di più, no?»

BMW K1, 1993

Secondo lei c’è qualcosa che minaccia la “sua” arte?
«Minaccia relativamente, nel senso che io ho sempre percorso la mia strada, nel bene e nel male. Come diceva la canzone francese, Je ne regrette rien. Ho fatto la mia strada, una un po’ diversa perché in genere l’artista era spesso chiuso in un velo di misticismo, come un sacerdote che genera delle opere misteriose che conosce solo lui e che sono difficili da interpretare. Io invece ho sempre lavorato più sul rapporto col sociale, con le cose che mi divertivano di più, prendendo degli aspetti più bassi che alla fine sono quelli più vitali e che sono comuni alla nostra società. La vita non è fatta solo di meditazione e trascendenza, è fatta anche di un bell’oggetto sul tavolo».

Quindi potremmo dire che quello che esalta la sua arte sono questi incontri e rapporti con le persone?
«Sì. Ho avuto rapporti con tutto il mondo, ho trafficato abbastanza con critici, giornalisti, scrittori, cantanti, musicisti; potrei fare un bell’elenco! Ho conosciuto dei personaggi straordinari e sono felice di averli incontrati, di avere scambiato idee e di essere stato con loro. Fa tanto bene».

Ugo Nespolo con Alda Merini

Sono curiosa di sapere del suo rapporto con la lirica, di quanto è stata importante per la sua creatività la commissione di scene e costumi. E in generale cosa pensa dello spettacolo così particolare che è il melodramma?
«È inutile dire banalità. La musica per me è fondamentale in tutto. Ma per quanto riguarda l’opera lirica – che ha fatto parte della tradizione di alcuni artisti anche molto importanti, soprattutto quella di lavorare per le scene e i costumi – ho cominciato con una Turandot a New York tanti anni fa e da lì sono andato avanti. Cito L’elisir d’amore a Roma, la Veremonda, l’Amazzone di Aragona, un’opera barocca molto interessante di Francesco Cavalli fatta a Charleston e l’ultima che ho fatto proprio ai bordi della pandemia che è stata L’italiana in Algeri. Mi piace e mi diverte molto. Ed è una bella relazione anche con la storia dell’arte (anche De Chirico si è dedicato alla scenografia), poi io adoro la lirica…ho anche cantato con Andrea Bocelli a casa sua!»

Scene e costumi dell’Italiana in Algeri, 2018-2020

E il cinema? Ha aggiunto di più alla narrazione poetica di Ugo Nespolo o a quella intellettuale?
«Ho fatto per cinque anni il presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino ma, a parte questo, siamo stati in pochi a portare il cinema sperimentale americano in Italia alla fine degli anni Sessanta. Ormai sono quelle cose storiche del cinema, che una volta si chiamavano d’avanguardia. Ho fatto film con attori e personaggi importanti come i tre maggiori artisti, Lucio Fontana, Enrico Baj e Michelangelo Pistoletto, che sono stati proiettati in tutti i maggiori musei del mondo. Quindi per me è un elemento intellettuale molto importante ma è anche un gesto di libertà perché il cinema è un ambito – quello degli artisti per intenderci – esente dal commercio. Non lo si fa per guadagnare, non lo si fa per vendere opere, lo si fa proprio soltanto per l’amore del farlo. E mi è piaciuto sempre tanto».

Sarà molto diverso lavorare a un film e a una produzione teatrale.
«Sono ovviamente due cose molto diverse, ma è proprio l’attitudine che uno ha nel fare un’opera d’arte e nel relazionarsi che rimane uguale. Dipende sempre da come fai il tuo lavoro, se lo fai sempre relazionandoti con le persone allora è lo stesso».

Quindi il suo approccio non cambia.
«A me non cambia. Tutte le cose che faccio, le faccio con lo stesso desiderio di farle. Quelle che non mi piacciono cerco di non farle».

Fotogramma dal film “Buongiorno Michelangelo”, 1968-69

A parte la mostra alla Reggia di Colorno e il suo nuovo libro Vizi d’arte che invito tutti i nostri lettori a leggere, quali sono i prossimi impegni in agenda?
«Da una parte ci sono le mostre, come quella che ha appena citato che attualmente è in corso a Colorno ma che successivamente partirà per altre direzioni e città. Poi, stiamo preparando una grande mostra a Roma e ci sarà sicuramente qualcosa anche all’estero che, devo dire, si è ripreso abbastanza bene. C’è l’idea di fare qualcosa in Cina dove in passato ho esposto nei musei più importanti del paese ma non so ancora se sia il momento di tornare. E recentemente mi hanno proposto la Lituania che mi dicono sia un paese in crescita. Come vede, il problema non è tanto quello di avere dei progetti ma voglio fare dei progetti seri, delle cose mirate. Naturalmente sto parlando di mostre nei musei perché di mostre nelle gallerie d’arte ce ne sono tante, le fanno senza quasi neanche dirmelo!»

Gegen Pressing (acrilici su legno), 2019

Per chiudere l’intervista, chiedo sempre al mio ospite l’ultima musica ascoltata.
«Farei fatica a risponderle perché sono sempre circondato dalla musica. Proprio in questo momento c’è una pianista ucraina che sta suonando mentre l’altra sera, per l’appunto, sono andato a un concerto di musica jazz con un grande chitarrista. E poi c’è anche mio figlio diplomato in sax, quindi musica tutti i giorni, in tutti i tempi e momenti».

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