Giovane pianista, oggi tra le più accreditate sulla scena internazionale, la salentina Beatrice Rana racconta con grande trasporto e passione della terza edizione di ClassicheFORME, la sua creatura, il festival internazionale di musica da camera che reca la sua firma. «”Classiche Forme significa per me proporre esperienze musicali all’insegna della condivisione e dell’interazione, presentando la “musica da camera” in modo dinamico, giovane, accattivante e in sintonia con i nostri tempi», spiega nella sua veste di direttrice artistica e fondatrice del festival.
Ma, torniamo per un attimo alla pianista. Studi nella sua città natale, Monopoli, il pianista Benedetto Lupo come docente e mentore e una carriera in rapida ascesa dopo la vincita di alcuni prestigiosi concorsi pianistici internazionali. Si è esibita nelle più prestigiose sale da concerto tra cui Musikverein di Vienna, la Philharmonie di Berlino, il Concertgebouw di Amsterdam, la Royal Albert Hall di Londra e il Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, per citarne alcune. Nominata Cavaliere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella, nel giugno 2018 è stata anche eletta Artista Femminile dell’Anno ai Classic BRIT Awards della Royal Albert Hall.
I prossimi 5, 6 e 7 luglio, a Lecce nel Chiostro dell’Antico Seminario, si svolgerà la III edizione di “ClassicheFORME”. Tra i protagonisti di questo cartellone, insieme alla stessa direttrice artistica, artisti del calibro di Benedetto Lupo, Vittorio Prato, Simone Rubino, Simone Lamsma, Sara Ferrández, Ludovica Rana, Anne-Luisa Kramb, Andrea Toselli, Ella van Poucke. E, ancora, una nuova commissione alla compositrice Silvia Colasanti in prima esecuzione assoluta e appuntamenti speciali in collaborazione con i Conservatori di musica e con le Accademie di perfezionamento. PressRoom la incontra in occasione della conferenza stampa milanese di presentazione del festival ClassicheFORME: siamo ospiti del Fazioli Showroom.
L’incontro con il pianoforte? Viene da una famiglia di musicisti se non erro…
«Esatto, i miei genitori sono entrambi pianisti. La vera trasgressiva di casa è stata mia sorella, suona il violoncello».
Studi nel Conservatorio della sua città, Monopoli, con Benedetto Lupo ma quando ha veramente compreso che il pianoforte sarebbe stato il suo compagno di vita?
«Il pianoforte è stato da subito la mia vita. Nascendo da una famiglia di musicisti non potevo immaginare una cosa diversa: il pianoforte ha sempre fatto parte della mia realtà di tutti i giorni. Quando ho realizzato veramente che sarebbe stato il mio compagno di vita? Nel periodo della scuola, frequentavo il liceo scientifico. Fu allora che mi domandai cosa sarebbe stato per me. La risposta fu semplicemente che non potevo stare un giorno senza di lui».
Nel 2011 la vittoria al Concorso di Montreal e nel 2013 Medaglia d’Argento del pubblico al Concorso Pianistico Internazionale Van Cliburn: quanto questa esperienza è stata significativa per la sua carriera?
«È stata decisamente un’esperienza fondamentale. Tutti i concorsi costituiscono, a mio avviso, una importante vetrina che consente di suonare in posti nuovi e per pubblici diversi. L’importanza è quindi da attribuire, non tanto alla vittoria in sé, ma al fatto che rappresentano un vero e proprio trampolino di lancio. E soprattutto in questi casi più che mai direi che “il fine giustifica i mezzi”».
Così giovane si è già esibita nei templi sacri del panorama musicale internazionale e sotto la guida di celebri bacchette: un episodio che ricorda con particolare affetto?
«Ogni concerto ha rappresentato per me un’esperienza importante. Non solo per quel che riguarda l’evento in sé, ma per tutto quello che lo ha preceduto e per la trepidazione che lo ha accompagnato. Uno tra i tanti che ricordo con affetto è certamente il debutto al Teatro alla Scala. Ma sono state davvero tante le belle occasioni che ho vissuto. Anche quella del Teatro Colón di Buenos Aires o alla londinese Wigmore Hall. La vera e immensa fortuna dei musicisti è quella di poter vivere continuamente esperienze indimenticabili».
Da importante solista quale è come vive, costretta da continui spostamenti per concerti, la “vita con la valigia”?
«Devo ammettere che la vita con la valigia è piuttosto faticosa ma mi piace. La vivo meglio da quando ho capito che casa mia non è altro che il posto in cui mi trovo in quel momento. È un modo di vincere la nostalgia che spesso si fa sentire. Ma, ovunque arrivi c’è poi il pianoforte, la mia certezza in ogni luogo mi trovi».
Affianca alla brillante carriera solistica la veste di direttore artistico di ClassicheFORME, peculiarità di questo festival che porta la sua firma? E perché ClassicheFORME?
«Il nome nasce da un gioco di parole, dall’inglese “for me”. L’ho scelto perché il festival è pensato soprattutto per la gente, concetto perfettamente espresso dall’equivalente di “per me”. Ma, oltre che dedicato al pubblico, vero destinatario di questo dono in musica, vorrei che il festival fosse in ogni edizione un’occasione di omaggio agli amici musicisti che stimo e alla mia terra. Ciò che più mi sta a cuore è che tutti si sentano “accolti”. Diverse sono le forme del far musica presenti in questi tre giorni di festa dell’arte dei suoni. Si tratta di un format meno convenzionale. Di una nuova luce che cerco di dare alla musica classica».
Quali ingredienti ritiene determinanti per una programmazione “efficace”?
«Cerco di muovere col pensiero dalle grandi alle piccole cose. La programmazione è da me intesa non come accostamento di una serie di brani apprezzati o di sicuro gradimento, ma come un vero e proprio percorso strutturato con il pubblico. Un viaggio. Sono pianista e io per prima so cosa mi fa piacere trovare quando sono ospite di un festival, cosa mi fa sentire a mio agio. Semplicemente, applico questa conoscenza per riuscire a mettere a proprio agio gli artisti. Credo che l’atmosfera sia tutto. Il nostro è un lavoro estremamente umano in cui grande importanza hanno per me i rapporti interpersonali».
Bilanci ad oggi del festival e novità di questa edizione 2019?
«Il bilancio delle passate edizioni è molto positivo. Tutti i concerti sono stati sold out. Questo mi ha incoraggiato e indotto a spostare il luogo dei concerti ad uno di maggiore capienza. Sono davvero felice che la mia idea di festival abbia finora riscontrato grande successo. La novità di questa edizione è certamente il luogo più vicino a quelli delle mie origini. Ma rimane alla base di tutto la volontà di conciliare i miei due più grandi amori: la musica e il Salento».
Tra gli ospiti diversi orgogli leccesi, tra cui il baritono Vittorio Prato…
«La maggior parte degli artisti coinvolti nel cartellone sono musicisti con cui ho lavorato in passato. Mentre con Vittorio è accaduto qualcosa di differente: ci siamo conosciuti lontano dai palcoscenici ma abbiamo riscontrato da subito una forte empatia e grande stima reciproca. È stata quindi una conseguenza naturale coinvolgerlo e sarà per lui una gradita occasione per tornare a Lecce, la sua città, in veste di cantante».
Torniamo alla sua veste pianistica: suggerimenti per giovani pianisti che guardano a lei come esempio?
«Sarei certamente gratificata e onorata di essere considerata un riferimento. In questo caso posso suggerire che occorre grande disciplina e forza d’animo: il nostro è un lavoro in continuo divenire. La vita inevitabilmente mette a dura prova e le delusioni sono naturali ed inevitabili. La differenza sta nella capacità di rialzarsi, di non farsi abbattere. Nell’avere la lungimiranza e la tenacia di guardare e mirare al risultato a lungo termine».
Cosa, a suo avviso, in un ricco panorama musicale internazionale come quello attuale fa di un pianista un grande pianista?
«Credo che essere un grande pianista sia il risultato di un’alchimia fatta di tanti aspetti. In particolare della capacità di parlare al cuore della gente senza artifici. Poi viene certamente l’aspetto artistico, la musica è un’arte, e quello fisico, questo lavoro comporta una preparazione atletica (nel senso di una particolare capacità di affrontare la performance). Quest’ultima, infatti, è totalmente estemporanea. Infatti, in quello del musicista come in pochi altri mestieri, in quel momento e solo in quel momento ci si gioca tutto. Ed è l’equilibrio perfetto di questi fattori a fare la differenza».
Riferimenti tra i mostri sacri del passato?
«Potrei citare Rubinstein, Horowitz e parlare della mia ammirazione per il grande estro creativo di questi giganti del passato. Certamente meno vincolati dall’esigenza di perfezione delle registrazioni».
Il suo prossimo impegno sarà il 18 maggio a Los Angeles, Walt Disney Hall, con LA Philharmonic diretta da Gustavo Dudamel…
«Sono davvero emozionata. Sarà la prima volta con Dudamel, anche se non la prima volta con la Los Angeles Philharmonic. Il programma non è stato una mia scelta ma sono stata chiamata per una sostituzione. Sostituirò Lang Lang. Mi dispiace certamente per lui che ha dovuto cancellare la data, ma penso che per me sarà comunque una grande opportunità».
Sogni ancora da realizzare nella professione e nella vita?
«Più che di un sogno parlerei di un auspicio: quello di poter continuare a suonare ed avere una ricca attività concertistica, ma sapere di poter sempre poi tornare a casa».
In copertina: Beatrice Rana, foto di Marie Staggat
Luisa Sclocchis
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