Caravaggio e il suo rapporto con la città di Genova, dall’Ecce Homo all’influenza sui pittori locali. Una grande stagione del Seicento italiano, in una mostra a Palazzo della Meridiana curata da Anna Orlando. 30 opere in gran parte inedite, visibili fino al 24 giugno 2019.
GENOVA. Nonostante il sudario d’austerità imposto all’Italia dalla Controriforma, la Repubblica di Genova costituisce, con Venezia, una luminosa eccezione. Forte della sua caratteristica di città mercantile, dei frequenti scambi con l’Europa del Nord e l’Oriente, poté mantenere un clima sociale assai più dinamico degli altri stati italiani, arginando per quanto possibile l’influenza spagnola. Nel suo “Secolo d’Oro”, fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, Genova era una città vivace, estremamente ricca grazie ai floridi commerci diretti dalle grande famiglie di armatori e banchieri, ma anche culturalmente vivace, grazie alla lungimiranza di quell’aristocrazia che reinvestiva nell’arte una parte non trascurabile dei suoi introiti. A Genova si affermò infatti, fra i primi casi in Italia, il “mercato libero” degli artisti, che potevano facilmente rivolgersi all’acquirente privato, affrancandosi dalle committenze dei poteri pubblici. Una città del genere non poteva non attrarre, prima o poi, il nume tutelare del Seicento italiano, quel Michelangelo Merisi da Caravaggio grande nel talento così come nella dissolutezza, artista “maledetto” e indisciplinato, ma ammirato da Papi e aristocratici. Ma non sempre questo apprezzamento poteva valere da salvacondotto, e nel 1605 fu costretto a fuggire dall’Urbe dopo l’aggressione contro il notaio Pontificio Mariano Pasqualone, per una questione di gelosia. Raggiunse così Genova, e del suo soggiorno di appena tre settimane resta il mirabile e discusso Ecce Homo, conservato nei Musei di Strada Nuova: discusso perché secondo un’ipotesi si tratta dell’opera che Caravaggio stesso, in uno di quello stesso anno, si impegnava a realizzare per l’aristocratico romano Massimo Massimi, e che la fuga precipitosa gli impedì di consegnare. Un’altra ipotesi, invece, ritiene che il dipinto appartenesse già prima di quella data alla collezione del genovese Pietro Gentile. Qualunque sia la sua vera storia, la tela è il punto focale della mostra di Palazzo della Meridiana, che dopo i rapporti dell’ambiente genovese con Van Dyck, analizza adesso quelli con Caravaggio. Un’altra tappa della vivace Genova seicentesca.
Con la sua lussuria del martirio del corpo, la sua estasi contemplativa della morte, la teatralità religiosa di Caravaggio ha radici pagane, come pagana, di fatto, era la corte pontificia, con i suoi cardinali scettici e avidi di ricchezza e potere. E per il popolo, “educato” a forza di dogmi, il Paradiso non è qualcosa da conquistare eventualmente dopo una vita spesa in laboriose occupazioni, al servizio dell’intera comunità, come accade nelle società riformate; il Paradiso lo si ottiene per indulgenze, in tal modo perdendo buona parte del suo significato, così come la dottrina cristiana perde di rigore. Quell’Italia controversa sopravvive in gran parte ancora oggi, e qui sta la modernità di Caravaggio, che riuscì a capirne le miserie e a traslarle sulla tela.
A Genova, nonostante la brevità del soggiorno, destò l’ammirazione dei pittori locali, che in parte lo conoscevano di fama, e molti di loro poterono ammirare di persona l’Ecce Homo. Fra i più importanti e talentuosi caravaggeschi genovesi si devono annoverare Gioacchino Assereto, Luciano Borzone, Orazio De Ferrari, Domenico Fiasella detto il Sarzana e Bernardo Strozzi, che sulla scia del loro maestro furono i protagonisti di una luminosa stagione artistica in Liguria, che vide la committenza privata soggetto attivo di quello che, come detto in apertura, era il “libero mercato” dell’arte in città. In particolare, Bernardo Strozzi assimilò il gusto per il pittoresco e il naturalismo sensuale di Caravaggio, attirandosi anche le critiche dei contemporanei per l’immoralità di certi suoi personaggi, in particolare femminili. Si trattava però del rigetto del sussiego chiesastico spagnolesco, in favore di una rappresentazione “terrestre” dell’essere umano, che in attesa del Paradiso scontava il suo purgatorio in terra tra difficoltà di ogni genere. E le sue scene religiose, sono principalmente scene di popolo. Seppur con meno enfasi, anche De Ferrari è partecipe di quel naturalismo barocco già osservato a suo tempo da Longhi, mentre più raffinata è la pittura di Domenica Fiasella, che filtra il suo caravaggismo da Orazio Gentileschi, di cui riproduce i delicati cromatismi.
Piccola ma raffinata, la mostra genovese costituisce un’interessante occasione di scoperta di artisti e opere meno noti del Seicento italiano, ma che, paradossalmente, ne costituiscono uno dei momenti più alti e più liberi.
In copertina: Caravaggio, Ecce Homo, 1605 circa, Genova, Musei di Strada Nuova
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