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26 Feb

De Nittis, Gemito e gli impressionisti napoletani

Il fascino dell’Ottocento parigino nelle tele della scuola napoletana di Palizzi, Gemito, e del “naturalizzato” De Nittis, che nella capitale francese vissero e lavorarono ispirandosi al movimento impressionista. Presso le Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos Stigliano, fino all’8 aprile 2018.

NAPOLI. L’Italia dei primi anni dell’Unità era alla ricerca di un’identità nazionale, dopo i lunghi secoli della divisione interna. Impresa non facile, in mezzo a opposte concezioni dell’amministrazione dello Stato, oltre a tradizioni, usi e costumi profondamente differenti. A documentare, in un certo senso, la varietà sociale e culturale della Penisola, provvidero i pittori della nascente scuola realista, che da Milano alla Sicilia fissarono sulla tela vedute di città, paesaggi, villaggi di campagna, fiere, mercati e feste tradizionali; opere che, girando nelle varie rassegne artistiche nazionali, contribuivano a far conoscere le varie realtà regionali. Fra le scuole più attive, e con una visione particolarmente aperta, ci fu quella napoletana, cosiddetta dalla città in cui si formarono gli artisti meridionali che vi fecero parte: l’abruzzese Palizzi, il barlettano De Nittis, il galatinese Gioacchino Toma, si erano infatti formati all’Accademia di Belle Arti di Napoli, che aveva ovviamente formato anche talenti cittadini quali Domenico Morelli, Edoardo Tofano e Giuseppe De Sanctis.

La grande mostra Da De Nittis a Gemito. I napoletani a Parigi negli anni dell’Impressionismo, curata da Luisa Martorelli e Fernando Mazzocca, documenta lo stretto rapporto fra i pittori partenopei e la capitale francese, all’epoca all’avanguardia per quanto riguardava la scena pittorica, ma anche capitale morale di quella Belle Époque che aveva conquistata l’Europa con i suoi fasti scintillanti, il ritmo del can can e quell’idea di trasgressione che l’accompagnava. La città brulicava di vita, di quartieri alla moda e di stradine equivoche e oscure, come tanto bene hanno scritto Emile Zola e Victor Hugo.

Giuseppe De Nittis, Un angolo di Place de la Concorde a Parigi, 1880 Collezione privata, courtesy Galleria Bottegantica, Milano

In maniera filologica, la mostra documenta il percorso dei pittori della scuola napoletana a partire dalle opere realizzate appena prima dei loro soggiorni parigini, e propone poi il confronto stilistico con quanto realizzato in Francia; ma, anche, ripercorre cronologicamente le fasi pittoriche di questa stagione artistica internazionale, dal realismo sociale di Palizzi e Cammarano ispirato a Courbet, alla pittura mondana di De Nittis, Brancaccio e Caputo, che trasferirono sulla tela l’eleganza dei boulevards, dei teatri, delle signore aristocratiche nelle loro fascinose toilettes da sera; dal naturalismo pittoresco e sensuale di Antonio Mancini, fino alla straordinaria espressività del classicismo scultoreo di Vincenzo Gemito, reinterpretato in chiave moderna, secondo un clima artistico che si concentrava sulla verità della rappresentazione, come appunto accadeva anche in pittura.

Pioniere della fascinazione per Parigi, Giuseppe Palizzi, amico di Courbet e Manet, che sviluppò una pittura attenta alla quotidianità delle classi lavoratrici, in particolare contadine, come già aveva avuto modo di fare in patria, fra Napoli e l’Abruzzo. Suggestivo il bozzetto preparatorio de La traite des veaux dans la Vallée de la Touque, Normandie (1859), mentre ne I carbonai (1855) si ritrova il connubio fra rappresentazione della natura per giustapposizione di colori e di studio della luce, e il racconto narrativo del lavoro dell’uomo; la campagna si stende piatta e silenziosa, e il pennello indugia con rapida perizia sui dettagli del paesaggio, e raggiunge l’apice espressivo nelle figure dell’asino e del cavallo, a confermare la sensibilità dell’artista per gli umili compagni delle fatiche dell’uomo. L’ispiratore di questa pittura dallo sguardo sociale fu Gustave Courbet, il primo ribelle della pittura francese, comunardo nel 1870.

Giuseppe De Nittis, Alle corse di Auteil, 1883 Barletta, Pinacoteca Comunale Giuseppe de Nittis

Ma la Francia dell’epoca, per effetto della Belle Époque, stava conoscendo stili e ritmi di vita sin lì sconosciuti, con i divertimenti popolari di locali notturni come i tabarin, e ancora la nascita dei café chantant e del teatro di varietà, che rivoluzionarono la vita sociale della città, assieme ai primi parchi per i divertimenti, la moda delle corse all’ippodromo, le passeggiate lungo i boulevards; uno dei suoi cantori più efficaci fu il barlettano Giuseppe De Nittis, il quale dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, giunse a Parigi nel 1867, dopo un soggiorno fiorentino al seguito di Adriano Cecioni, che gli dette modo di conoscere i Macchiaioli e per loro tramite ampliare la sua prospettiva pittorica, respirando indirettamente l’aria francese di Corot e Courbet. Nel corso della sua breve carriera, De Nittis si dimostrò talentuoso interprete di quella pittura urbana che rappresentava lo specchio della modernità: le sue vedute parigine sono eleganti ed efficaci narrazioni di quella vorticosa vita moderna, cui tutti si abbandonano senza distinzione di classe sociale; se l’aristocrazia e l’alta borghesia prediligono le corse dei cavalli, una passeggiata potevano permettersela tutti; Alle corse di Auteil (1883), ritrae un’elegante dama che segue appassionatamente le corse, in piedi su una sedia; una posizione insolita, che dona al quadro vivacità e naturalezza; la raffinatezza “boldiniana” di De Nittis si rintraccia nella delicatezza dei volti femminili, compresi quelli in secondo piano e nella sobria femminilità delle toilette scure; invece, la tela di Place de la Concorde ritrae una folla variopinta e numerosa che attraversa la grande piazza in una giornata di sole, con l’Hotel de Crillon che biancheggia sullo sfondo. Pur frequentando gli Impressionisti, De Nittis non aderì al movimento, bensì mantenne una sua particolare cifra naturalista, pur assorbendo qua e là alcune idee. La mostra propone un interessante confronto fra l’attività parigina del barlettano,e  le tele che realizzò quando tornò provvisoriamente a Napoli, e fra queste Pranzo a Posillipo (1878) è vicina al Manet della maturità.

Epigono di De Nittis, quel Francesco Netti che con La sortie du bal (1872), racconta l’euforia popolare per i balli mascherati; ma il quadro è interessante anche per il contrasto che propone, ovvero i nottambuli che verosimilmente tornano a casa, e i netturbini che alle prime luci dell’alba sono già a lavoro per garantire la pulizia delle strade. Più amaro, quasi caravaggesco per il naturalismo sensuale con cui ritrae gli aspetti più miseri della Parigi dell’epoca, il romano Antonio Mancini, che predilige gli artisti di strada, esponenti di un mondo precario, non sempre limpido, ma sicuramente colorato e teatrale, avvolto in virtuosistici effetti di luce.

Un particolare da non sottovalutare, è il fatto per cui questi artisti non furono assorbiti dall’Impressionismo, bensì mantennero un loro stile personale, segno evidente del radicamento della loro formazione napoletana, e della forza poetica del naturalismo italiano che proprio all’ombra del Maschio Angioino e del Vesuvio ebbe i suoi esempi più validi e stilisticamente più variegati.

Vincenzo Gemito, Ritratto di Mathilde Duffaud, 1877, collezione privata

A coronare la mostra, un’ampia sezione dedicata ala scultura di Vincenzo Gemito, che con Auguste Rodin e Medardo Rosso fu tra i protagonisti dell’innovazione del linguaggio scultoreo in senso naturalista. Al pari del francese, anche Gemito estrapola l’anima dalla materia, e i suoi busti si caratterizzano per espressività emotiva. Sguardi pensosi ornano i volti dei suoi soggetti, ma dove probabilmente Gemito raggiunge l’apice della profondità è nel modellare la terracotta alla maniera di Donatello, e Mathilde Duffaut, sua fedele modella, ricorda da vicino la celebre Maddalena penitente, che aveva affascinato anche Rodin. Meno plastico di lui, anche in virtù del fatto che il napoletano preferisce i busti e non la figura intera, Gemito fu comunque uno scultore dalla poetica intensa.

La mostra di Palazzo Zevallos Stigliani costituisce un’ampia panoramica sulla scuola napoletana, della quale poco si conoscono l’apertura europea e i proficui scambi con l’ambiente pittorico parigino, all’epoca all’avanguardia nel Vecchio Continente. Frequentazioni che testimoniano della vitalità e della curiosità culturale della Napoli dell’epoca, che seppe formare ed educare artisti di altissimo livello, oggi purtroppo in parte dimenticati.

In copertina: Giuseppe De Nittis, Pranzo a Posillipo, 1879 ca, Milano, Galleria d’Arte Moderna

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