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23 Ott

Finalmente alla Scala la Lucerne Festival Orchestra

Un Piermarini sold out ha ospitato, la scorsa domenica 14 ottobre, l’unica data italiana della Lucerne Festival Orchestra prima della sua partenza per 5 concerti, previsti dal 18 al 22 ottobre, in residenza a Shanghai. L’occasione di questa tappa milanese è stata la decima edizione del concerto straordinario di raccolta fondi per la tutela e la valorizzazione dell’arte e della natura italiane “Grandi Orchestre Sinfoniche Internazionali per Deutsche Bank a favore del FAI” – Fondo Ambiente Italiano. Un debutto, un appuntamento di grande richiamo, ma anche una sorta di ideale “ritorno alle origini” per la LFO, se si considera il suo legame con i direttori scaligeri. La storia della compagine orchestrale svizzera è infatti indissolubilmente legata a tre grandi direttori d’orchestra italiani. La sua origine risale agli anni ’30, al 1938 più precisamente, quando Arturo Toscanini, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania del Terzo Reich, decise di non tornare al Festival di Salisburgo e di riunire in un “Concerto di Gala” i più celebri virtuosi del tempo in un’unica orchestra d’eccezione. Per questo scelse proprio la Svizzera e Lucerna: il concerto si tenne davanti alla casa sul lago in cui Richard Wagner trascorse sei anni della sua vita. La LFO, rifondata nel 2003 da Claudio Abbado e dal sovrintendente del festival Michael Haefliger, mantiene la peculiarità voluta dal suo fondatore Arturo Toscanini. Custode ed erede di quella tradizione, proseguita da Abbado con la sua “Orchestra degli amici”, in cui riunire solisti, cameristi, professori di musica di fama internazionale e membri delle più blasonate orchestre d’Europa e del mondo (Berliner Philharmoniker, Chamber Orchestra of Europe, Mahler Chamber Orchestra, Royal Concertgebouw Orchestra, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per citarne alcune), è oggi Riccardo Chailly. Quest’ultimo riveste attualmente il ruolo di direttore musicale, succeduto dal 2016 ad Abbado, direttore artistico fino al 2014, anno della sua scomparsa.

Ma torniamo alla serata del 14 ottobre: il concerto si è aperto con una prima parte interamente dedicata a Richard Wagner con l’Ouverture dall’opera Rienzi e, a seguire, quella da L’Olandese volante. Dell’orchestra di provenienza svizzera colpiscono la compattezza delle varie sezioni e un insieme dal perfetto amalgama timbrico. Alle celebri pagine dell’autore tedesco segue, per nota affinità tra i due, la colossale Sinfonia n. 7 in mi maggiore di Anton Bruckner. Con queste parole il critico Eduard Hanslick, con manifesto dissenso, la descrisse nella sua recensione all’indomani della prima esecuzione viennese, nel 1886: «Certo non era mai capitato a nessun compositore di esser chiamato alla ribalta quattro o cinque volte dopo ciascun movimento. Bruckner è il nuovo idolo dei wagneriani. […] Ammetto senza giri di parole di non essere in grado di giudicare con equilibrio questa Sinfonia di Bruckner, tanto mi sembra innaturale, rigonfia, malaticcia e putrescente. Come tutte le composizioni maggiori di Bruckner, anche la Sinfonia in mi maggiore contiene intuizioni geniali, passi interessanti, persino belli – qui sei, là otto battute – tra questi lampi però si spalanca un buio impenetrabile, una noia pesante come piombo e un’eccitazione febbrile». Oggi la scrittura di Bruckner? È sempre più spesso proposta nelle programmazioni sinfoniche e gode di altissima considerazione. Il suo ricorrere ad un continuo alternarsi di luci e ombre, il passare da stati di euforia quasi febbrile ad altri di mestizia profonda e lacerante in un procedere per estremi è chiaro manifesto dell’ipersensibilità tardo romantica. Carattere fedelmente espresso da un’esecuzione ricca di espressività e sfumature che dalle tinte più tenui, in un incedere vorticoso, trascinano ai colori più accesi. I momenti di profondo lirismo e intima spiritualità, cedono il passo alla solennità di episodi dal sapore più vigoroso e marziale. Cantano le sezioni, dialogano tra loro, raccontano e si raccontano, senza mai rinunciare all’alta tensione interpretativa. La monumentale architettura di queste pagine del genio austriaco è plasmata nel gesto di Chailly e, sapientemente trasmessa ai suoi, diviene affascinante materia sonora. Superfluo disquisire circa l’eccellente livello esecutivo della LFO, della cura estrema di ogni minimo dettaglio, della straordinaria resa di un tale insieme di fuoriclasse. L’intuizione che allora fu di Toscanini si rivela ora come allora più che vincente. Un’orchestra da sentire, assolutamente.

In copertina: foto Brescia & Amisano, Teatro alla Scala

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