La National Gallery Of Ireland ospita una grande retrospettiva sulla pittura veneziana del Settecento di Canaletto e dei suoi contemporanei, a cura di Anne Hodge. Cento opere provenienti dalla Royal Collection di Buckingham Palace ripercorrono Venezia e la storia della sua pittura settecentesca. Fino al 24 marzo 2019.
DUBLINO. Rialto, il Canal Grande, Santa Maria della Salute, i sontuosi interni dei palazzi nobiliari, sfilano come le scenografie di un monumentale teatro, vivacizzato dal tocco guizzante di Canaletto, Piazzetta, Zuccarelli, Longhi, narratori, attraverso le loro vedute bozzettistiche, di usi e costumi di una città, la Venezia settecentesca, ormai decaduta ma ancora vivace e raffinata.
La mostra è anche occasione per ammirare la preziosa e prestigiosa collezione reale, nata per iniziativa del sovrano Giorgio III (1738-1820), che acquistò un consistente numero di opere di Canaletto e colleghi grazie alla consulenza di Joseph Smith, console britannico a Venezia nonché estimatore della pittura veneta, e di Canaletto in particolare. La collezione fu poi arricchita nel tempo, fino a raggiungere la consistenza attuale. Costituisce un’ampia fonte di documentazione pittorica sulla Venezia del Settecento, che, seppur in piena decadenza politica, era una città elegante e fastosa, avvolta in un velo di garbato edonismo, che aveva nel carnevale, nel gioco d’azzardo, nei bordelli, persino nelle cerimonie dogali, i suoi punti focali,
Una città teatro, che ricorda la Bisanzio degli ultimi Paleologi e la Roma di Petronio, dove il fasto serviva per mascherare la debolezza istituzionale. Pur incapace, infatti, di garantire una considerevole potenza politica, anche l’oligarchia veneziana del Settecento ripiegò sul mantenimento di un prestigio che avesse almeno nella forma una sua legittimazione. Come raccontano anche i memorialisti stranieri, da De Maistre a De Brosses – senza dimenticare gli italiani, su tutti Giacomo Casanova -, la città era vivace e piacevole, persino le classi più umili godevano di un tenore di vita accettabile, assai più elevato che in altre zone d’Italia, e le strade rutilavano di colori e di vita operosa, seppur mancante, ormai, dell’antica prospettiva di portata mondiale, resa possibile dalla supremazia commerciale. Non più in grado di solcare e dominare i mari, la nobiltà veneziana non seppe trasferire il suo ardimento sulla terraferma e investire i suoi capitali nell’agricoltura, come stava accadendo in Lombardia. Forse presentendo – con la perdita della Morea e di Creta -, la fine di un’epoca, la nobiltà veneziana divenne una casta parassita e improduttiva, che si sfogava a teatro, nei carnevali, nelle sale da gioco. Carlo Goldoni, con le sue acute commedie dal sapore di bozzetto ci ha lasciato splendidi ritratti di questa società dinamica, sentimentale e sognatrice, cui anche il popolo dava una nota di vivace, genuino colore.
Di questa vivacità trasversale, Canaletto ci dà concreta documentazione dipingendo la festa dell’Ascensione sul bacino di San Marco, dove a fianco del Bucintoro dogale scintillante di ori e damaschi, navigano più modeste gondole di popolani, tutti però vestiti a festa, qualcuno persino con una maschera sul volto (in un eterno rincorrersi fra paganesimo e religione). Persino la pittura religiosa risente di questa joie de vivre, e i santi, le madonne, gli angeli, sembrano far parte del pubblico della Fenice, o di una delle tante feste di piazza.
A caratterizzare il vedutismo, non soltanto il realismo bozzettistico, ma anche quel gusto un po’ barocco per l’invenzione teatrale architettonica, che ebbe nel “capriccio” la sua prova più compiuta. Con il suo sguardo nostalgico, il “capriccio” anticipa, in un certo senso, il gusto romantico per le rovine, per il passato archeologico, anche se qui la prospettiva non è di carattere emotivo ma si limita all’artificio tecnico.
La mostra si sviluppa, oltre che sulle pitture, anche sui disegni e le incisioni, che dimostrano la perizia dei vari Marco e Sebastiano Ricci e Anton Maria Zanetti, oltre che dello stesso Canaletto, con le loro silhouette di raffinati damerini e sensuali damine, così come di più veraci gondolieri e sartine. Emerge l’attenzione che l’ambiente artistico veneziano ha avuto per l’omologa scena olandese, in particolare per il disegno di van Wittel, ma anche per la tradizione veneta di Tiziano e Tintoretto.
Scorrendo uno a uno i capolavori in mostra, si ha l’impressione di compiere un ideale viaggio fra le calli e i campielli della Città del Carnevale, di percorrerne i canali scivolando su una gondola, di tuffarsi nel vivace chiasso delle sue feste, di sostare all’angolo di un campiello e riascoltare il brusio quotidiano di una città che non smise mai di sentirsi una capitale. Il trattato di Campoformio, siglato da un cinico Napoleone Bonaparte, mise fine alla Serenissima e alla sua gloriosa storia millenaria.
(In copertina: Canaletto, Il bacino di San Marco nel giorno dell’Ascensione, 1733-34)
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