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8 Mar

Boldini e la belle epoque della moda

In 120 opere fra dipinti di Boldini e dei colleghi impressionisti, ma anche abiti, accessori e libri d’epoca, la mostra, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Museo Giovanni Boldini di Ferrara, racconta la nascita del “fenomeno” moda nella società e il suo stretto connubio con il mondo della cultura. A Palazzo Diamanti, fino al 2 giugno 2019.

FERRARA. La moda. Vanità delle vanità, circonfusa d’ineffabile grazia femminile, cui si lega in maniera indissolubile il concetto d’immagine. Concetto che in quella fine d’Ottocento era ancora legato, più che alla rudimentale fotografia, all’arte figurativa; moda e pittura raggiunsero una strettissima collaborazione, l’una esaltando l’altra, e in buona fede contribuirono a creare quell’euforica illusione che prese il nome di Belle Epoque, quando le possibilità del progresso apparivano illimitate, e un’epoca di avido benessere sembrava doversi aprire una volta per tutte. La storia avrebbe deciso diversamente, ma intanto l’illusione nasceva, incastonata in mezzo a importanti cambiamenti sociali e di costume; prendeva forma la società di massa, cui le nascenti riviste di moda prestavano un volto, un’immagine, un codice.
Nel 1901 Giovanni Boldini (1842-1931) è all’apice della carriera, dalla natia Ferrara è diventato uno dei più apprezzati artisti di Parigi, all’epoca indiscussa capitale mondiale della cultura. In quel gennaio, uscì la rivista Les Modes, con cui il pittore collaborò a lungo, fornendo i suoi ritratti femminili per le copertine o per fotoincisioni a tiratura limitata, incluse nella rivista. Nasce adesso il connubio fra moda e arte; la prima ha bisogno essere veicolata, pubblicizzata, esaltata, e nessuno meglio di Boldini, all’epoca, era in grado di farlo. Le sue donne sono infatti capolavori di eleganza e sensualità: attrici, aristocratiche, ballerine, a ognuna di loro Boldini presta caratteri di dea, cesella una già notevole bellezza e ne accentua la grazia; abiti sontuosi che la pennellata pastosa e sfuggente rende simili a fuochi d’artificio, metafore di quel brio ineffabile che solo bellezza e ricchezza possiedono. E Boldini, raffinato impressionista assai sensibile alla bellezza femminile, proprio fra il gentil sesso si era costruita molta della sua fama d’artista.
La mostra non si limita però a raccontare un fenomeno di costume, ma fa leva sulla pittura di Boldini per analizzare un’epoca e il suo clima culturale, avventurandosi fra le pagine di D’Annunzio e di Wilde, di Proust e James; perché le donne ritratte dal ferrarese non sono semplici modelle da copertina, al contrario, sono come accennato protagoniste dell’epoca, sia fra le cronache mondane, sia nel mondo dei grandi teatri, a loro volta espressione dello spirito dei tempi. Come sosteneva Wilde (e D’Annunzio subito dopo), è importante far parlare di sé, e fu in quegli anni che nacque la società dell’immagine, anche grazie alla diffusione della moda che costituiva uno strumento in più in tal senso; un abito non era soltanto indossato, ma esibito su una rivista (come accadeva con le donne di Boldini), o a teatro, all’ippodromo, al caffè; diventava uno status symbol, un segno della propria personalità e della propria capacità di spendere il denaro. Nasce quella società cui D’Annunzio presterà la penna, assieme a Proust, a Wilde, a James: mondi un po’ snob ma sicuramente attraenti, che a loro modo costituiscono il sogno proibito dell’immaginario comune, di quelli che alla ricchezza ancora non possono aspirare. Ma non è importante essere ricchi, quanto averne l’aria, e a differenti livelli ognuno cerca di assomigliare alle immagini delle riviste, ai personaggi dei romanzieri di cui sopra. A Parigi, a Roma, a Londra, ci si vestiva come in un quadro di Boldini, si parlava come Andrea Sperelli o un Guermantes, si cercavano pose da Lady Hamilton, ci si illudeva di essere altri, nella generale euforia di un’epoca che, finché riuscì a brillare, fu veramente luminosa.
La mostra di Palazzo Diamanti la racconta attraverso il suo lato migliore, quello della cultura (artistica, letteraria, musicale, teatrale) che adottò la moda come irrinunciabile orpello. Ma anche la moda adottò l’arte, e gli splendidi abiti d’epoca (molti dei quali provenienti dalla Galleria del Costume di Palazzo Pitti), testimoniano come i vari stilisti, da Worth a Paquin fino agli atelier di Roma e San Pietroburgo, avevano superato il concetto di abito come indumento, ma ne facevano un mezzo per esaltare il proprio modo di essere (o l’idea che se ne aveva), profondendosi in soluzioni estetiche assai innovative e raffinate.
Una grande illusione che brilla ancora oggi.

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