Ann Lowe, “prima designer di moda afroamericana”, cuciva per luoghi in cui non poteva entrare. Da un luogo buio, per dirla con le meravigliose parole di Bell Hooks (Belonging. A Culture of Place, 1990). Uno dei prerequisiti per diventare artista della moda, a noted person, è di essere riconosciuto come tale. Più facile di così si muore, direte voi. E infatti, molti sono morti. L’istituzione, la “società”, deve riconoscerti “artista”. E il riconoscimento arriva sotto forma di buona stampa, premi, feste, cene, messaggini WhatsApp, cuoricini strategici. Ann Lowe, non la nominavano mai. Da Ann Lowe a Virgil Abloh, i designer di moda afroamericani sono etichettati come sarti, nel primo caso, e dj di stoffe, nel secondo. Ma adesso, adesso che Ann Lowe è stata canonizzata come “prima designer afroamericana”, adesso è diverso.
Bene, ma non benissimo. Che vuol dire “prima designer afroamericana”? È o no parte della grande tradizione americana, come Claire McCardell e Charles James, o “prima designer afroamericana” significa che adesso gode di una stanza tutta sua, accanto a quella principale ma separata, come nella scuola di alta moda che frequentava da giovane a New York?
Qualche tempo fa, il New York Times, che a queste questioni è sempre attento, ha pubblicato un articolo intitolato The Overwhelming Whiteness of the Museum Fashion Collection. L’articolo parlava di Palais Galliera, e sottolineava come le creazioni dei designer di colore presenti nel suo archivio di moda fossero una esangue minoranza. Per la precisione, 77 su 200.000. Non è che Palais Galliera è cattivo, la grande mancanza riguarda tutti i musei della moda perché i donatori sono per la maggior parte bianchi, e quei pochi di colore, come Bell Hooks ha scritto, ci tengono a essere considerati bianchi. Le cose stanno cambiando, per fortuna. Tranne in Italia, ma solo perché non abbiamo un museo della moda.
“Tutto il piacere che ho provato, lo devo al cucire”, disse Lowe a un giornalista di Ebony nel 1966. “Vorrei essere fisicamente in grado di fare tutto il lavoro da sola”. Altro punto a sfavore, dato che i couturier non cuciono, bensì “disegnano”, al più “scolpiscono”. Da bambina, Ann Lowe si limitava a trasformare gli scarti del lavoro della madre sarta, cucendoli e modellandoli in fiori. Anni dopo, quei fiori sarebbero divenuti un suo segno distintivo. Poetici, meravigliosi, carnali, romantici fiori. Così belli che una debuttante dovette riportarle il vestito a riparare perché il suo date le aveva tagliato un fiore, per indossarlo all’occhiello.
Ann Lowe era nata a Clayton, Alabama, nel 1898. Sua nonna era una sarta precedentemente ridotta in schiavitù e sua madre era specializzata in ricamo. Nel 1917 lasciò tutto per recarsi a New York a frequentare dei corsi di cucito dove, essendo l’unica studentessa nera, fu segregata in una stanza separata, lontana dai coetanei. Si trasferì definitivamente a New York nel 1928. Durante la sua carriera, Lowe ha avuto la sua etichetta e un negozio sulla 5th Avenue. Ha anche lavorato per la stilista Hattie Carnegie. I suoi vestiti sono stati venduti dai maggiori retailer americani: Neiman Marcus, Henri Bendel, Saks Fifth Avenue.
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