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21 Mag

La storia di Ann Lowe. Prima stilista afroamericana di haute couture

Ann Lowe, “prima designer di moda afroamericana”, cuciva per luoghi in cui non poteva entrare. Da un luogo buio, per dirla con le meravigliose parole di Bell Hooks (Belonging. A Culture of Place, 1990). Uno dei prerequisiti per diventare artista della moda, a noted person, è di essere riconosciuto come tale. Più facile di così si muore, direte voi. E infatti, molti sono morti. L’istituzione, la “società”, deve riconoscerti “artista”. E il riconoscimento arriva sotto forma di buona stampa, premi, feste, cene, messaggini WhatsApp, cuoricini strategici. Ann Lowe, non la nominavano mai. Da Ann Lowe a Virgil Abloh, i designer di moda afroamericani sono etichettati come sarti, nel primo caso, e dj di stoffe, nel secondo. Ma adesso, adesso che Ann Lowe è stata canonizzata come “prima designer afroamericana”, adesso è diverso.

Ann Lowe: The Black Designer Behind Jackie Kennedy's Wedding Gown

Jackie Kennedy e Ann Lowe (© Getty Images)

Bene, ma non benissimo. Che vuol dire “prima designer afroamericana”? È o no parte della grande tradizione americana, come Claire McCardell e Charles James, o “prima designer afroamericana” significa che adesso gode di una stanza tutta sua, accanto a quella principale ma separata, come nella scuola di alta moda che frequentava da giovane a New York?

Qualche tempo fa, il New York Times, che a queste questioni è sempre attento, ha pubblicato un articolo intitolato The Overwhelming Whiteness of the Museum Fashion Collection. L’articolo parlava di Palais Galliera, e sottolineava come le creazioni dei designer di colore presenti nel suo archivio di moda fossero una esangue minoranza. Per la precisione, 77 su 200.000. Non è che Palais Galliera è cattivo, la grande mancanza riguarda tutti i musei della moda perché i donatori sono per la maggior parte bianchi, e quei pochi di colore, come Bell Hooks ha scritto, ci tengono a essere considerati bianchi. Le cose stanno cambiando, per fortuna. Tranne in Italia, ma solo perché non abbiamo un museo della moda.

1966-1967 – Ann Lowe, American Beauty Dress | Fashion History Timeline

Dalla collezione del Smithsonian National Museum of African American History and Culture (© Getty Images)

“Tutto il piacere che ho provato, lo devo al cucire”, disse Lowe a un giornalista di Ebony nel 1966. “Vorrei essere fisicamente in grado di fare tutto il lavoro da sola”. Altro punto a sfavore, dato che i couturier non cuciono, bensì “disegnano”, al più “scolpiscono”. Da bambina, Ann Lowe si limitava a trasformare gli scarti del lavoro della madre sarta, cucendoli e modellandoli in fiori. Anni dopo, quei fiori sarebbero divenuti un suo segno distintivo. Poetici, meravigliosi, carnali, romantici fiori. Così belli che una debuttante dovette riportarle il vestito a riparare perché il suo date le aveva tagliato un fiore, per indossarlo all’occhiello.

Ann Lowe era nata a Clayton, Alabama, nel 1898. Sua nonna era una sarta precedentemente ridotta in schiavitù e sua madre era specializzata in ricamo. Nel 1917 lasciò tutto per recarsi a New York a frequentare dei corsi di cucito dove, essendo l’unica studentessa nera, fu segregata in una stanza separata, lontana dai coetanei. Si trasferì definitivamente a New York nel 1928. Durante la sua carriera, Lowe ha avuto la sua etichetta e un negozio sulla 5th Avenue. Ha anche lavorato per la stilista Hattie Carnegie. I suoi vestiti sono stati venduti dai maggiori retailer americani: Neiman Marcus, Henri Bendel, Saks Fifth Avenue.

Ann Lowe nel suo atelier

Ann Lowe nel suo atelier (Foto da MAM-e)

Da Saks, Lowe era a capo di The Adam Room, una boutique interna che vestiva l’élite. Fu lì che Polly Carver Duxbury ordinò un Ann Lowe per il suo debutto. L’abito ha le cuciture foderate di pizzo, la struttura interna è incredibilmente complessa, sottoveste e reggiseno sono integrati, la sottoveste ha il tulle lungo l’orlo, dandogli forma. E stando a quanto ha dichiarato Polly Duxbury, veste come una seconda pelle. Ann Lowe cuciva abiti unici per l’alta società americana, non meno che straordinari. Ma in America la Haute Couture, almeno dagli anni Venti in poi, è qualcosa d’‘altro’, punto di riferimento ambiguo, mai identificata con nozioni di modernità e americanità.

Jackie Kennedy Wedding

Jackie Kennedy si sposa in un abito firmato Ann Lowe (© Getty Images)

Quindi, l’abito che Jackie ottenne fu una casta confezione di taffettà di seta color avorio con una scollatura tipo ritratto, un corpetto delicatamente rimboccato e una gonna parasole con rosette a volant. Nel 1961, il primo anno della signora Kennedy alla Casa Bianca, uno scrittore che la intervistò per il Ladies’ Home Journal riferì che l’abito era stato realizzato da “una sarta di colore” e “non era Haute Couture”.

Nel 1953, Jacqueline Lee Bouvier sposò John Fitzgerald Kennedy in un abito da sposa Ann Lowe, ma nessuno nel mondo poté saperlo. Lei era un’ex debuttante di ventiquattro anni, che aveva lavorato per un giornale di Washington come “Inquiring camera girl”, lui un senatore del Massachusetts con gli occhi sulla Casa Bianca. Nel mito di Jackie l’ascendente gallico svolgeva un motivo centrale e in questo senso, l’abito da sposa fu una delusione. Secondo gli storici di Kennedy, Miss Bouvier aveva fatto pressioni per qualcosa di snello e parigino ma Joseph Kennedy, il padre dello sposo, la respinse. Non voleva inviare un messaggio sbagliato, di glamour e decadenza.

1947 | Oscars.org | Academy of Motion Picture Arts and Sciences

Olivia de Havilland vinse il suo primo Oscar come attrice protagonista, per “A ciascuno il suo destino” nel 1947 © Oscars

Quella “sarta di colore”, Ann Lowe, godeva dell’ammirazione e del rispetto di Christian Dior e della costumista Edith Head. La madre di Jackie, Janet Auchincloss, era una sua fedele cliente. Jackie e sua sorella, Lee, avevano debuttato a Newport in un abito Lowe. Marjorie Merriweather Post, l’erede e filantropa da cui Donald Trump acquistò Mar-a-Lago, scelse una sua robe de style in seta faille per il ritratto. Olivia de Havilland accettò il suo primo Oscar in un Lowe senza spalline in tulle color acqua, decorato con fiori dipinti a mano. Jessica Regan, curatrice associata al Met Costume Institute, paragona Ann Lowe a Mainbocher. Lowe riferì a un giornalista del Saturday Evening Post nel 1964: “Mi piace che i miei vestiti siano ammirati. Mi piace sentirne parlare: gli ooh e gli ahh quando entrano nella sala da ballo. Questo è quello che mi piace sentire”.

 

Silvia Vacirca

Da Harper’s Bazaar 

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