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9 Set

Maestri del costume, Tommaso Lagattolla

Tra i festival estivi in Italia, quest’anno grande interesse ha raccolto La Traviata prodotta dal Luglio Musicale Trapanese con la non convenzionale regia di Andrea Cigni. Per la serie delle interviste ad alcuni protagonisti delle scene liriche internazionali, ho recentemente incontrato Tommaso Lagattolla, scenografo e costumista di questa produzione, fra i più apprezzati creativi teatrali italiani oltre che docente di Costume per lo spettacolo presso l’Accademia di Belle Arti di Bari ed allestitore e curatore vestimentario per il Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.

Potrebbe tratteggiare brevemente la sua formazione?

La mia formazione è piuttosto atipica: ho studiato e mi sono diplomato in Violino al Conservatorio di Bari e contemporaneamente ho frequentato il Liceo Artistico e poi l’Accademia di Belle Arti. L’incontro con il mondo del costume di scena è stato davvero fortuito: alcuni amici mi hanno parlato di un concorso per entrare in una scuola internazionale d’arte del costume a Firenze, ho inviato i miei bozzetti e, insperatamente, sono stato ammesso. Da qui, il passo verso il teatro lirico è stato facile, vista anche la mia formazione come musicista! Ricordo ancora la prima opera di cui ho curato i costumi: Didon di  Piccinni, nel 2001 a Bari.

Come costruisce i personaggi?

L’ideazione non è mai né solitaria né autonoma: un progetto convincente parte sempre da un’idea registica che viene reinterpretata attraverso la sensibilità del costumista che deve dare naturalezza a figure e corpi che talvolta naturalezza non hanno. Il compito del costumista è quello di descrivere la psicologia di un personaggio attraverso un costume. Il mio processo creativo è molto iconico: ricerco spesso il compromesso fra riferimenti colti e riferimenti che definirei pop, in modo che lo spettatore medio possa cogliere il senso che sta alla base dello spettacolo. Generalmente, poi, l’idea originale di un costume si modifica in base agli artisti che daranno vita a quel personaggio. In una produzione, mi è capitato di avere due cast e due primedonne (tra l’altro molto diverse fisicamente una dall’altra): per ognuna di loro, ho realizzato due abiti leggermente diversi in modo da esaltarne maggiormente la figura e, quindi, anche il personaggio. E’ un lavoro complicato.

Il suo stilista preferito: uno di ieri ed uno di oggi.

Non ho alcun dubbio: assolutamente Cristobal Balenciaga! Maestro del taglio e della precisione, capace di creare sul corpo femminile geometrie rigorose ed eleganti, riuscendo ad andare oltre I confini della moda…non uno stilista ma un vero e proprio artista! Fra gli stilisti di oggi, Rick Owens: per me, un genio totale. Adoro la sua sensibilità artistica, la sua integrità stilistica che si rivela nel lavoro sulle forme, la creazione di abiti che danno a chi li indossa un’allure ieratica.

Francesca Sassu/Violetta, ph. GioVacirca

Passiamo alla recentissima produzione di La Traviata. Il regista Andrea Cigni nelle sue note di regia ricorda una lettera, scritta dallo stesso Verdi, in cui il Maestro lamenta di una Traviata “pura ed innocente” piuttosto che “puttana”. Come vi siete rapportati alle indicazioni verdiane?

Quasi tutte le Traviate viste in teatro mostrano Violetta in abiti ottocenteschi, come fosse una nobildonna che a causa della malattia non può vivere fino in fondo la propria storia d’amore. Io e Andrea, invece, abbiamo seguito il senso che Verdi voleva dare a Violetta: una puttana che vive di arte, di musica, di spettacolo. Un elemento di ispirazione è stato il film di Mauro Bolognini – La vera storia della Signora delle Camelie – in cui Alfredo esibisce Violetta nuda, quasi fosse una merce, alla vista degli amici, tutti rigorosamente vestiti in frac. Da questo punto di vista siamo partiti per disegnare la trasformazione della protagonista, da donna desiderata dell’alta borghesia parigina, ad amante disperata fino alla redenzione finale.

In questa produzione la primadonna è il soprano Francesca Sassu. Si è rapportato con lei nella creazione del personaggio?

In questo progetto, la complicità con Francesca è stata fondamentale! Per costruire uno spettacolo simile avevamo bisogno della protagonista “giusta”. Francesca, con la sua sensualità innata e la pelle bianchissima, ha subito richiamato alla nostra mente la regina del burlesque, Dita von Teese. Ed ecco che il primo atto dell’opera, la festa a casa di Violetta, diventa un club privato in cui si svolge uno spettacolo di burlesque con gli ospiti dai volti coperti con maschere come in “Eyes wide shut” di Stanley Kubrik.

Sono curiosissima…ci potrebbe descrivere gli abiti indossati da Francesca Sassu alias Violetta?

Francesca cambia d’abito quattro volte! In tutti gli abiti di Violetta ho cercato di puntare sul significato iconico dei pochi particolari e dei tre colori utilizzati (rosso, bianco e nero), cosi da focalizzare l’attenzione dello spettatore sulla musica e sul canto. Nel primo atto, Violetta è la regina del burlesque e, dunque, per lei corsetto nero con paillettes, piume di struzzo, cappello a cilindro. Nel quadro I del secondo atto va in scena la rinuncia: Violetta è un’elegante donna borghese che rinuncia al suo amore per permettere le nozze della sorella di Alfredo e il suo abito richiama perciò Chanel. La festa a casa di Flora si svolge in un night club e ha come tema la Spagna filtrata attraverso la citazione del Bolero di Ravel versione Bejart e dell’opera di Ruven Afanador: Violetta indossa un lungo abito nero con inserti di paillettes e fondo a balze a citazione degli abiti delle ballerine di flamenco. L’ultimo atto è quello in cui avviene la redenzione totale attraverso la morte: Violetta, in sottoveste di seta grigia e cardigan di cachemire, si presenta al pubblico mentre sorregge la flebo e circondata, per un istante, da un’aureola di luce, quasi fosse una Madonna uscita da un quadro di Francesco Hayez. Ella è martire dell’amore…

In una parola, il segreto del suo mestiere.

Rispondo con le parole del geniale Arturo Benedetti Michelangeli: “Per fare un’artista ci vuole una parte di talento e nove parti di tecnica”.

 

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