In 39 opere fra dipinti e disegni, la prima monografica in Danimarca su van Gogh, dopo mezzo secolo. Una mostra fatta di poesia, fra natura e dignità umana. Fino al 20 gennaio 2019.
COPENHAGEN. Una carriera artistica lunga appena dieci, ma così intensi e ispirati da aver inciso profondamente nella storia dell’arte mondiale. I suoi colori brillanti, quella natura vasta e silenziosa, la sensibilità con cui si avvicinava ai soggetti, fossero alberi, campi di grano, contadini a lavoro, bambini, donne nei costumi tradizionali, hanno fatto di lui un poeta della pittura, uno straordinario innovatore che ha esaltato il colore come mezzo per raccontare gli stati d’animo,
L’Arken Museum of Modern Art di Copenhagen ospita una mostra piccola ma intensa, costituita da 28 dipinti e 11 disegni in prestito dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, che possiede la seconda collezione al mondo delle opere di van Gogh, dopo Amsterdam. Osservando questi dipinti, emerge il personalissimo linguaggio che rivela la spiritualità del suo approccio artistico, di una pittura che guarda alla dignità del lavoro e alla bellezza, estetica e spirituale, della natura. Personalità fragile e inquieta, nella pittura van Gogh cerca le sue radici spirituali, che per estensione divengono quelle dell’umanità, e che, appunto, si ritrovano nell’arcaico, millenario lavoro dei campi, cui però un’industrializzazione sempre più diffusa sottrae risorse umane e ambientali. Desta quindi una certa commozione la spartana dignità di questi interni, testimoni silenziosi di vite faticose e dignitose insieme. Accanto ad essa, emergono lo sguardo, oseremmo dire contemplativo, e la sensibilità con cui Van Gogh ritrae gli ultimi, il rispetto con cui entra nelle loro misere abitazioni e le fa sembrare una sorta di luoghi sacri, tanta è l’attenzione, tanto è il rispetto che l’artista nutre per le incombenze domestiche e il loro ambiente – come l’accensione del fuoco -, da farli sembrare riti religiosi; forse, un’inconscia manifestazione del suo bisogno di un focolare, di qualcuno che si prenda cura di lui. Ma anche l’ammirazione, quasi nostalgica, per una civiltà che la nascente industrializzazione fagociterà di lì a poco. Dal suo riflessivo isolamento, van Gogh aveva intuito il corso della modernità, e ne soffriva nel suo intimo, avvertiva lo sradicamento da ritmi, usi e costumi millenari che sarebbe stato soltanto foriero di angoscia e disagio.
L’anima di van Gogh si sublima nelle tele che ritraggono i contadini, dove il suo tocco riesce a conferire dignità artistica ai gesti più semplici, anche i meno “nobili”, come lo spargere sementi sui campi, o rivoltare le zolle di terra. Evidenti i richiami al naturalismo letterario di Zola, che però qui si vela di poesia, stando a quanto affermò lo stesso van Gogh: «Vorrei dipingere uomini e donne con quel non so che di eterno». Il seminatore (1888), possiede la lirica bellezza che sorge dalla natura addomesticata dall’onesto lavoro dell’uomo; tutto intorno, la delicatezza del tramonto è esaltata dai tenui azzurri fra le zolle che suggeriscono l’avvicinarsi delle ombre serali, momento di agognato riposo dopo una giornata di fatiche. I suoi paesaggi, invece, pur nell’ampio respiro di alberi e campi, possiedono una tensione e un dinamismo suggeriti dalle pennellate “a strisce” e all’alterazione dei naturali toni dei colori. Nella pittura dell’epoca furono innovazioni di particolare importanza, che faranno sentire la loro influenza su artisti quali Roderic O’Conor, così come sugli astrattisti del Novecento. Ma a colpire, più ancora dello stile, è il respiro spirituale che si avverte in questa natura, che van Gogh immagina madre affettuosa e misteriosa.
Tutte le opere in mostra sono state realizzate nella Francia Meridionale, fra la Provenza e la Camargue, luogo d’elezione per van Gogh che ne amava la luce mediterranea, i colori accesi ma non violenti, gli stormi di corvi che attraversavano i gialli campi coltivati a grano, gli antichi villaggi sparsi nella pianura, lambiti dal vento marino. Proprio in virtù di questa sensibilità, la sua grandezza sta nell’avere saputo guardare l’essenza dell’uomo, e non la sua apparenza. Lontano dalle luci della mondanità borghese, preferì sempre la verità di un’esistenza vicina alla natura, grazie alla quale seppe anche leggere l’anima dell’individuo.
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