Il semaforo, oggetto che fino a circa 150 anni fa non esisteva. Conseguenza della rivoluzione industriale, che ha portato, tra le altre cose, alla proliferazione dei mezzi di trasporto pubblici e personali. Ma anche metafora per il controllo della nostra libertà: con il rosso stai fermo; con il giallo (arancione per alcuni) fai attenzione, ma anche sii guardingo; con il verde si ha la piena libertà di movimento. Sicuramente in questo ultimo anno la metafora del semaforo, e dei suoi colori, ci ha condizionato (ma anche aiutato) a sopravvivere. I colori erano una limitazione più o meno forte per tutti, ma lo è stato molto di più per il comparto culturale, totalmente chiuso, velocemente abbandonato al proprio destino, con un semaforo rosso perenne.
Ma se per il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento (che solo gli stolti e gli ignoranti considerano “non-cultura”), il via all’apertura è ancora lontana, qualcosa si sta muovendo per i musei e le mostre. Con l’ultimo DPCM si dà modo nelle regioni in zona “gialla” e nell’ottemperanza delle restrizioni dovute alla pandemia, di allentare i cordoni che hanno posto in una bolla sospesa la cultura, e riaprire solo nei giorni feriali. Lentamente, strutture museali e mostre, che avevano dovuto rinviare l’inaugurazione o addirittura sospendere le esposizioni, tornano a disposizione per i visitatori. Tra i primi ci sono stati i Musei Vaticani, per poi essere seguiti da altri spazi della capitale e da quelli di Firenze. Altre città hanno deferito l’apertura di qualche giorno, forse sorpresi dall’annuncio così imprevisto. Così a Milano si va in ordine sparso tra strutture private e pubbliche: alcune annunciano l’ingresso dei visitatori dal 9 febbraio e altri posticiperanno al 16. Poi nella prima settimana di marzo – dal 2 al 7, in concomitanza con Museocity (4-7 marzo) – avverranno una serie di inaugurazioni, iniziative artistiche e culturali, sempre nel capoluogo lombardo.
Ma andando oltre all’aspetto geografico delle aperture, questo passo avanti verso il ritorno alla normalità ci dà modo di sopperire a una restrizione che in questi mesi ci è sembrata inappropriata; dettata dalla condivisibile regola di far muovere meno persone possibile. Regola che, ci siamo resi conto tutti, spesso è stata disattesa da singoli, gruppi e alcune categorie commerciali, ma molto ferrea per la cultura. In questo modo le opere ospitate nei musei, quelle prestate o spostate per le mostre, i siti archeologici, non si sono nutriti degli sguardi dei visitatori; che sono essi stessi parte dei capolavori: perché senza di loro non avrebbero valore. Per cui è nostro auspicio che queste riaperture siano definitive, e siano l’inizio di una rinascita di tutto il comparto culturale italiano.
In copertina: Il direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta © Musei Vaticani
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