In Italia oltre l’80% dei vestiti acquistati non viene mai usato. È quanto rivela uno studio condotto su venti Paesi nel 2018 da Movinga, società tedesca di traslochi online. Una ricerca realizzata da Greenpeace Germania segnala invece che la produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 al 2014. Il consumatore medio acquista il 60% in più di capi ogni anno e la loro durata si è dimezzata rispetto a 15 anni fa, producendo montagne di rifiuti.
Una mole enorme di abiti ed accessori che hanno riempito dapprima gli armadi e, non troppo tempo dopo, le discariche, con un grave impatto sul sistema sociale ed ambientale. Dal 1960 al 2015, infatti, come fotografa il rapporto Italia 2020 di Eurispes, c’è stato un record di rifiuti tessili con un aumento stimato dell’811%.
Solo nel 2015, sono finiti in discarica 1.630 tonnellate di vestiti. Si stima che ogni persona, ogni anno, consumi 34 vestiti e ne butti 14 chili. Eppure ogni anno 62 milioni di tonnellate di vestiti escono dalle fabbriche. Negli ultimi quindici anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi.
Tradotto in impatto ambientale, questo genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione europea (El País). Per quanto riguarda l’Italia, l’Ispra ha fotografato la situazione al 2016, quando sono state raccolte complessivamente 133,3 kt di frazione tessile, con un incremento di circa il 3,3% rispetto al 2015, quando la raccolta era stata di 129 kt, e ancor più rispetto al 2012 (101,1 kt). Nel complesso, il 56% della raccolta di rifiuti tessili riguarda il Nord, il 26% il Sud e il 18% il Centro.
Foto in copertina | © Leigh McAlea
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