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20 Gen

Pisa Futurista

Oltre cento opere raccontano la parabola del movimento di Marinetti, fra interventismo e nazionalismo, pittura e architettura. Una mostra organizzata da Fondazione Palazzo Blu in collaborazione con MondoMostre, aperta fino al 9 febbraio.

Giacomo Balla, Forme grido viva l’Italia

PISA. L’Italia del 1909 era ancora un Paese prevalentemente agricolo, un soggetto minore sulla scena internazionale, espressione di una borghesia ancora legata al liberalismo ottocentesco e di un ceto popolare che stava lentamente sviluppando la propria coscienza di classe. Fra le pieghe di questa società ancora legata al Risorgimento stava però nascendo un’avanguardia portavoce di istanze di acceso modernismo di stampo anche nazionalista, che derivava dal Positivismo molta della sua carica innovativa. La scienza e la tecnica sembravano aprire qualsiasi possibilità di sviluppo per l’umanità, e anche l’arte avrebbe dovuto adattarsi alle loro leggi. Filippo Tommaso Marinetti, dandy e intellettuale, teorizzò a Parigi, nel febbraio del 1909, il nuovo movimento, attraverso il Manifesto Futurista apparso sul quotidiano francese Le Figaro, che nell’articolo 3 ben spiega l’aplomb del movimento: “La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”. Non fu in senso figurato soltanto, perché frequenti furono a Firenze e Milano le risse con i gruppi artistici “rivali”.

Gino Severini, Danseuse

La mostra di Palazzo Blu copre trent’anni di Futurismo, dal 1910 fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, raccontati in oltre cento opere provenienti da tutta Italia, prendendo le mosse dagli esordi in ambito divisionista di Boccioni, Carrà, Balla e Severini, in anni in cui Previati e Nomellini rappresentavano il punto di contatto fra l’Italia e l’arte europea. Un legame che Marinetti avrebbe reciso, per fondare un movimento che fosse tutto italiano, che esprimesse l’animo di un Paese in crescita (anche se a livelli minori di quanto si sarebbe voluto), ma che soprattutto aspirava a un posto di primo piano nel consesso delle Nazioni. Per questa ragione i Futuristi furono sempre favorevoli alle campagne d’intervento in Libia e nella Grande Guerra, ma più in generale la guerra è vista come uno strumento di rinnovamento e rigenerazione del mondo e dell’umanità, come ben spiega il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo, stilato da Balla e Depero, in cui si affida alla linea astratta e al dinamismo della forma il compito di rappresentare una società in cui “daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile”, come recita il medesimo manifesto. La modernità implica anche la nascente società di massa, il commercio, il consumo, la pubblicità, e Depero fu uno dei primi artisti a occuparsi nel settore, con le campagne per il vermouth Campari.

Il Futurismo fu uno stile artistico che irruppe nella società con l’impeto di una cannonata, che sovvertì atteggiamenti e modi di pensare, si saldò al movimento nazionalista e acquistò fama e visibilità nel “maggio radioso” ma anche negli anni di guerra, cui presero parte molti membri del gruppo, dei quali alcuni furono persino decorati al valore. Travolgente fu anche l’incontro con la pittura, dove la pennellata dinamica, la sovrapposizione delle forme, il colore usato con spregiudicatezza, soppiantarono modelli e stilemi ottocenteschi, creando sul momento una vera e propria ubriacatura per il nuovo.

La mostra considera anche le implicazioni del Futurismo in architettura e letteratura, con una sezione dedicata ad Antonio Sant’Elia (caduto al fronte nel 1916, ma redattore del Manifesto dell’Architettura Futurista), che immaginò le città del futuro, verticali, in vetrocemento, dai profili minimalisti e razionali, con strade a più corsie, sovrappassi e sottopassi per regolare il traffico, e uno skyline di grattacieli, con i quartieri industriali per ospitare le officine, gli stabilimenti produttivi, le centrali elettriche.

Nel bene e nel male, il Futurismo permeò la società, creò una mentalità, un atteggiamento, che il Fascismo seppe abilmente sfruttare per i suoi scopi, dando credito alla facile identificazione tra futuristi e fascisti. Ma non fu sempre così, molti anzi presero le distanze dal movimento di Mussolini. L’antologica pisana presenta il Futurismo nei suoi vari aspetti, tappa dopo tappa, con rigore cronologico e filologico, addentrandosi nelle sue sfaccettature e raccontandone l’anelito innovatore che ancora oggi non si è del tutto dissolto.

 

In copertina:  Giacomo Balla, Pessimismo e ottimismo

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