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31 Gen

Helena Rubinstein. La Collection de Madame

A Parigi, il Musée du quai Branly – Jacques Chirac espone fino al 28 giugno 2020 la collezione d’arte primitiva di Helena Rubinstein. Un omaggio alla grande imprenditrice della cosmetica che fu pioniera nel collezionare l’arte di Paesi africani e asiatici.

Le salon africain, 24, quai de Béthune,Paris, vers 1960 © Paris, archives Helena Rubinstein – L’Oréal

PARIGI. Soprannominata da Jean Cocteau “l’Imperatrice della Bellezza”, Helena Rubinstein (1870-1965), vero nome Chaja, nacque a Cracovia da una famiglia ebraica, il cui ambiente conservatore le andava assai stretto, al punto che nel 1896 rifiutò il matrimonio combinato dai genitori e si trasferì in Australia; un salto nel buio, considerando l’epoca e le convenzioni sociali dell’epoca. Ma un salto che dà la misura della personalità e dell’intraprendenza di questa donna che inseguiva il successo e la libertà. Coleraine, dove uno zio possedeva un piccolo department store, fu il suo trampolino di lancio: qui infatti cominciò a produrre su larga scala una crema cosmetica a base di lanolina, che abbondava grazie ai grandi allevamenti di pecore presenti in Australia. Nacque così la Crème Valaze profumata alla lavanda, e il successo di vendite fu tale che cinque anni dopo, ai cinque punti vendita in Australia ne affiancò uno a Londra, e fondò l’eponima compagnia che legherà il suo nome alla cosmetica moderna. Da Londra agli Stati Uniti il passo fu breve, e nonostante le solite convenzioni sociali che guardavano con sospetto a una donna così libera e intraprendente, la difficoltà di ottenere finanziamenti bancari (che alle donne erano vietati), l’attività riscosse vasto successo fra il pubblico femminile.

Masque d’initiation féminin, Photo Hughes Dubois.

E al pari di Yves Saint Laurent nel mondo della moda, Rubinstein fondò un impero economico basato sulla sua casa produttrice di cosmetici, ma utilizzò la sua ricchezza non soltanto per una vita agiata dal punto di vista materiale; investì infatti anche nel modo dell’arte, e nel tempo costruì una vasta collezione di arte africana, che andò purtroppo dispersa nel 1966, un anno dopo la sua scomparsa; questa vasta e prestigiosa collezione è adesso riproposta dopo un lungo lavoro di ricerca: Helena Rubinstein: La Collection de Madame (come veniva affettuosamente chiamata dai suoi dipendenti), ripropone al pubblico tesori di culture lontane, che all’epoca apparivano ancora più remote.

Rubisntein fu una donna dai gusti raffinati, amante dell’alta moda e dell’eleganza, e sempre insofferente alle convenzioni e alle ipocrisie. Lo dimostra anche il suo divorzio da un matrimonio poco soddisfacente, e il successivo legame con Artchil Gourielli-Tchkonia, di ben ventitre anni più giovane di lei.

Statuette anthropomorphe © musée du quai Branly – Jacques Chirac, photo Thierry Ollivier, Michel Urtado

L’arte africana, in un certo senso, rispecchia questa personalità così libera, audace e intraprendente, sempre tesa alla ricerca del nuovo. Di quelle maschere, statue votive, monili, utensili, apprezzava la forza “brutale” ed espressiva che rispondeva in pieno alla sua voglia di ricerca del nuovo, ma anche una continua considerazione delle diverse espressioni del concetto di bellezza; la raffinata semplicità dell’arte africana rappresentava l’altro capo dell’evoluzione di un concetto così antico e universale, rispetto agli elaborati esercizi di stile tipici della cultura europea. Semplicità dei volumi, purezza del tratto, geometrismo della forma : caratteristiche che avevano già sedotti e interessati gli artisti europei dell’avanguardia cubista e fauve, da Picasso a Modigliani, da Matisse a Braque.

Una collezione che ben presto divenne famosa nel mondo, e alcuni dei pezzi furono esposti in occasione di importanti mostre sull’arte primitiva, come, ad esempio, African negro art che si tenne nel 1935 al Museum of Modern Art di New York. Riscoprirla oggi, dopo tanti anni di ingiustificato oblio, è l’occasione per tornare idealmente agli anni pionieristici della scoperta artistica delle culture primitive, e testimonia delle scelte audaci in fatto di mercato dell’arte da parte di Rubinstein. Dove riuscì a lasciare una sua impronta.

 

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