Una mostra documentaria fra architettura, design e mondanità racconta uno spaccato di recente storia sociale italiana: fotografie, locandine, oggetti di design, documenti, raccontano la crescita di una città che fu il simbolo del miracolo economico italiano. L’arte, il design, l’industria, tutto quanto di più avanzato c’era in Italia all’epoca, lo si trovava a Milano. A Palazzo Morando, fino al 9 febbraio 2020.

Torre Velasca © Archivio Civico Fondo Paolo Monti
MILANO. In tempi di recessione e insoddisfazione sociale, un tuffo nel passato può servire a confortare lo spirito e infondere coraggio per guardare avanti. Il capoluogo meneghino, capitale morale d’Italia nonché città a vocazione europea, ospita una grande retrospettiva documentaria sugli splendori degli anni Sessanta, quando il nostro Paese si risollevò con enfasi dalle macerie della guerra e assunse definitivamente un ruolo di potenza industriale in Europa e nel mondo. Entusiasmo e fantasia non difettavano a un Paese che lavorava a pieno regime, vocato all’industria ma senza tradire le radici culturali della grande tradizione artistica.
In quel decennio forse irripetibile del miracolo economico che consolidò la fama dell’Italia nel mondo, Made in Italy era sinonimo di qualità, di bellezza, di opera d’arte. Nel generale fermento sociale ed economico che interessò l’Italia sul finire degli anni Cinquanta, Milano fu la città in cui nacque il design italiano, specchio della nuova società italiana, accanto alla crescente industrializzazione che assicurava la crescita del Pil.
La mostra ne fornisce un ampio saggio, esponendo pezzi di Bruno Munari, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Enzo Mari, Achille Castiglioni, Sambonet, Joe Colombo, Gio Ponti, i quali rivoluzionarono il concetto di oggetto-opera d’arte e dettarono il nuovo, funzionale volto della società del dopoguerra che ha ricostruito il Paese sulla scia del miracolo economico. La mostra indaga la funzione sociale del design, la sua capacità di accompagnare la crescita di un Paese attraverso competenze tecniche e immaginazione, riuscendo a migliorare la qualità della vita di un’alta percentuale della popolazione.

Concerto dei Rolling Stones al Palalido © Archivio Garghetti
Ma Milano non fu solo produttività, fu anche il centro di una scena artistica importante con personaggi quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, che spinsero oltre le frontiere creative dell’arte contemporanea, indagando l’uno le possibilità spaziali della tela, l’altro le possibilità delle suggestioni di gesti e linguaggi. Una scena vivace che aveva una gustosa appendice nei vari locali notturni della città, dai cabaret ai teatri ai caffè. A Milano nasce la moda dell’aperitivo, a Milano si esibiscono i giovani cantautori Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci con i loro testi caustici che facevano il paio con le graffianti commedie di un geniale Dario Fo.
Fiore all’occhiello di quella grande stagione musicale, i concerti dei Beatles e dei Rolling Stones, rispettivamente nel 1965 e nel 1967.
Intanto, con i nuovi grattacieli, Milano ridisegnava il suo volto: La Torre Velasca, la Torre Galfa, il quartiere Sant’Ambrogio, le nuove stazioni della metropolitana che raggiungevano anche la periferia: nasceva una città moderna, funzionale, europea.
L’Italia dell’epoca non era perfetta, ma aveva inventiva, entusiasmo e curiosità, che sembrano ancora vibrare dai documenti d’epoca esposti a Palazzo Morando; la mostra costituisce un’accurata ricostruzione del volto migliore dell’Italia, Paese operoso e aperto all’Europa e al mondo, capace di destare ammirazione e meraviglia per quello che fu uno stile di vita elegante, improntato alla Dolce Vita, che a Milano, diversamente che a Roma, ebbe sfumature meno edonistiche e più produttive. In quell’Italia si potevano cogliere opportunità, era possibile costruirsi un avvenire, si guardava avanti con fiducia.
Ma poi, gli anni Sessanta, apertosi con l’utopia del pacifismo, si chiusero paradossalmente con violenze di ogni genere; l’Italia non fece purtroppo eccezione, e dopo gli scontri del Sessantotto, l’anno successivo ebbe luogo la prima strage che inaugurò gli Anni di Piombo e la strategia della tensione. Fotografie e documenti d’epoca provenienti dagli archivi della Polizia di Stato raccontano la dolorosa storia di Piazza Fontana, un mistero su cui vergognosamente la magistratura italiana non è ancora riuscita a fare luce, così come su tante altre dei venti anni successivi. L’Italia è, purtroppo, anche questo, e ancora oggi se ne pagano le conseguenze.
In copertina: Lucio Fontana nel suo studio © Archivio Carlo Orsi
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