Pier Luigi Pizzi “artista della settimana”? Certo che no, Pizzi è “Artista” per antonomasia. Però, dopo avere avuto la sfacciataggine di proporgli di essere il protagonista della mia rubrica e avendo ricevuto un bel sì (solo qualche mese fa un regista molto più giovane mi rispose che no, non aveva tempo, perché era sold-out…), ecco qui il risultato della nostra conversazione.
Creatore instancabile di spettacoli rivoluzionari, Pier Luigi Pizzi venne sedotto dal teatro parlato e musicale fin da giovanissimo (nella lirica esordì nel 1952), iniziando da subito le collaborazioni con i principali teatri in Italia e all’estero e con gli artisti di maggior spicco. Sarebbe troppo lungo descrivere la sua straordinaria quanto longeva carriera, prima come scenografo e costumista e poi anche come regista, attività alle quali ha aggiunto la passione per il collezionismo d’arte e di conseguenza la curatela di varie mostre. Vorrei soffermarmi, piuttosto, sulla sua storia d’amore quarantennale col Rossini Opera Festival che verrà celebrata, il 21 agosto, con il Gala Tra rondò e tournedos diretto da Diego Matheuz con regia, scene e costumi firmati da Pizzi stesso con l’aiuto di Massimo Gasparon. Per chi non riuscirà ad esserci, il Gala sarà trasmesso in diretta su Rai Radio 3 a partire dalle 20:30.
Proprio quest’anno Pizzi ha ricevuto dal sindaco Matteo Ricci la cittadinanza onoraria, un riconoscimento che consolida il forte legame con la città di Pesaro. Cosa rappresentano questi quarant’anni al ROF? «Innanzitutto è una grandissima opportunità avere a disposizione un luogo consacrato alla memoria di Rossini, compositore a cui mi sono dedicato moltissimo nel corso della mia carriera. Quando sono arrivato a Pesaro per la prima volta nell’82 avevo alle spalle esperienze importanti come scenografo, ed ero convinto che Rossini fosse il compositore ideale per me. Mi viene subito in mente la Semiramide che avevo fatto due anni prima ad Aix-en-Provence con Montserrat Caballé, Marilyn Horne e Samuel Ramey, un’esperienza unica con un cast di assoluto livello. Lo spettacolo fu poi ripreso a Parigi, in America e, ovviamente, in Italia».
Poi c’è stata la scoperta dei due finali e io – rispettoso della caratteristica del ROF di eseguire le opere nelle versioni integrali – sono riuscito attraverso un escamotage a far eseguire entrambi i finali, uno drammatico e l’altro lieto». Un punto di forza nell’allestimento incredibile che allora inaugurò la sua lunga collaborazione con il nascente Rossini Opera Festival, aggiungerei. E, dopo Tancredi, ha messo in scena 13 nuove produzioni e 22 allestimenti… «E ho vissuto altrettante esperienze straordinarie, scoprendo quasi sempre opere nuove e poco note come il Mosè in Egitto (secondo titolo della mia carriera al ROF, andato in scena nel 1983). Al Barbiere di Siviglia, invece, sono arrivato in tarda età ma con la maturità, o forse l’innocenza, di cui avevo bisogno per affrontare un’opera simile».
Rossini e Pizzi. «Di Rossini apprezzo tutto, non solo la scrittura musicale ma anche l’ironia che filtra attraverso tutte le sue opere, non c’è opera che sia uguale all’altra. Rossini utilizza pezzi scritti per opere serie e li riutilizza per quelle buffe riuscendo sempre a creare un qualcosa di nuovo, logico e plausibile perché la sua musica è capace di esprimere qualsiasi sentimento. Per quello sono cosi legato al compositore».
Grande festa il 21 agosto a Pesaro! Mi ha molto colpito il fatto che Pizzi non sarà solamente uno spettatore nella serata in omaggio alla sua carriera «Posso svelare che all’inizio si voleva fare un concerto celebrativo con musiche rossiniane, però ho detto a Palacio che non sono né cantante né direttore, quindi il concerto mi lasciava un po’ a bocca asciutta (ride) e ho proposto di fare una serata evocativa del mio percorso pesarese presentando in ordine cronologico dei frammenti dalle opere a cui ho lavorato; una sorta di lunga compilation di brani che ho fatto lì in questi anni, con scenografia e costumi originali. L’idea è piaciuta fin da subito! Sarò addirittura in scena e farò da condutture e da legante tra questi frammenti». Sarà un Gala indimenticabile: «lo spero, in un clima sereno tra tanti amici».
Ora passiamo alla vera e propria rubrica che, immagino, siete curiosi di leggere.
Maestro, innanzitutto grazie per la sua disponibilità e complimenti per i suoi meravigliosi quarant’anni al ROF! Inizio subito con la prima, e ormai consueta, domanda: in quale momento della sua carriera ha iniziato a percepirsi come artista?
«Mai. In nessun momento. Per me il Teatro è prima di tutto un mestiere. Meraviglioso nobilissimo mestiere che si impara praticandolo direttamente sulla scena. Del palcoscenico si deve conoscere ogni segreto e si deve stabilire un rapporto di fiducia con chi lo fa vivere. Un luogo che considero sacro e a cui porto rispetto. Quando entro in scena, se vengo da fuori, mi levo il cappello, come in chiesa. In ogni mestiere si deve essere pronti a rimboccarsi le maniche e lavorare. In più di settant’anni di carriera l’ho sempre fatto e lo continuo a fare. Stabilito tutto questo, c’è la fase creativa che, nei momenti più ispirati e felici, ti può avvicinare all’Arte. Ma non prendiamoci sul serio!».
Lei è un pilastro della cultura musicale e artistica del nostro paese. Dove sta andando il teatro?
«Diciamo che ho seguito in Teatro un percorso impegnato, coerente, seguendo gli impulsi di una curiosità mai appagata, alla ricerca di una bellezza non esteriore, con libera immaginazione e controllato rigore estetico ed etico. Con un filtro salutare: l’ironia. Dove stia andando il Teatro non so esattamente. Percepisco dei segnali positivi ma anche allarmi negativi. L’evoluzione segue il suo corso naturale poco incoraggiato da politiche stimolanti o da propositi rivoluzionari convincenti».
Nel corso della sua lunga carriera ha creato capolavori che sono entrati nella storia e che hanno fatto emozionare generazioni intere, ma può il teatro da solo o applicato ad altre forme d’arte, produrre cambiamenti nella società?
«Ho sempre sperato che il Teatro fosse un mezzo forte per far passare idee».
Secondo lei c’è qualcosa che minaccia la “sua” arte?
«Continuo a credere che tener fede ai propri principi sia un modo sicuro per scongiurare qualsiasi minaccia».
E c’è qualcosa che, al contrario, la esalta?
«Essere ancora in grado alla mia età di lavorare con lo stesso entusiasmo di quando ho cominciato».
Per chiudere l’intervista, chiedo sempre l’ultima musica ascoltata dall’artista.
«Orfeo ed Euridice di Gluck. Questa musica ha segnato un lungo esaltante percorso con Riccardo Muti. Tornerò a confrontarmi con quest’opera amatissima nella prossima stagione del Teatro La Fenice, insieme a Ottavio Dantone».
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