TOP
13 Apr

Balla a Palazzo Merulana, tra diversi futurismi

A Palazzo Merulana, fino al 17 giugno, sono in mostra 60 pezzi, dai dipinti futuristi di Balla alle fotografie di Elio Luxardo e Arturo Ghergo sui rotocalchi dell’epoca che ispirarono l’artista nel creare affascinanti pitture in bilico tra Futurismo e realismo fotografico.

 

Giacomo Balla, Primo Carnera, 1933

Giacomo Balla, Mercurio passa davanti al Sole, 1914 (particolare)

ROMA. Quella passione giovanile per il violino, lasciato da parte a favore della pittura, riemerge però con garbata prepotenza nelle pitture di Giacomo Balla (1871–1958), nato divisionista e diventato futurista per naturale conseguenza del suo temperamento insofferente ai chiusi cortili dell’accademismo e della tradizione. La sua instancabile vena sperimentale lo condusse a inaugurare una fase pittorica che anticipò di un trentennio la Pop Art di Andy Warhol, quella dedicata ai ritratti fotografici di famosi personaggi, da tradurre in iconiche opere d’arte simbolo di un’epoca. In realtà, il primo contatto fra il mondo patinato dei rotocalchi e quello dell’arte lo si ebbe appunto con Balla, ed è su questo interessante aspetto che si concentra la mostra di Palazzo Merulana, ampio spazio espositivo di 1800 metri quadrati suddivisi in quattro piani, che ospitano la collezione della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, una significativa raccolta principalmente dedicata alla Scuola Romana e all’arte italiana tra le due guerre. Fra i vari capolavori che custodisce, anche il Ritratto di Primo Carnera dipinto da Balla nel 1933 ispirandosi alla celebre fotografia apparsa sulla Gazzetta dello Sport all’indomani della conquista del titolo mondiale di pugilato da parte dell’atleta italiano. Del quadro sono assai interessanti alcuni aspetti: in primo luogo la tecnica, perché il pittore applicò sul fondo della tela una rete di metallo su cui poi stese il colore, ottenendo un effetto di “retinatura”, identico a quello delle immagini a stampa dei giornali. Anche visivamente, l’arte diventa un mezzo di comunicazione di massa, alla stregua di un quotidiano, per veicolare un messaggio sportivo, pubblicitario, politico, a seconda dei casi; in Carnera, infatti, Balla, vicino al regime fascista, riconosceva un simbolo di affermazione italiana nel mondo, e il ritratto fu anche l’occasione per un po’ di propaganda interna. Ma al di là dell’aspetto politico, inevitabile in quegli anni difficili per il nostro Paese, il volto di Carnera ha anche una valenza iconica per l’immaginario collettivo della società italiana dell’epoca, cui il regime non offriva molti diversivi. A partire da quel ritratto, e quasi in parallelo con il cinema dei “telefoni bianchi”, Balla sviluppa una pittura “patinata”, ispirata alle opere dei fotografi delle star dell’epoca, ovvero Elio Luxardo (suo lo scatto a Carnera da cui nacque il ritratto) e Arturo Ghergo, cronisti mondani che regalavano un momento d’evasione al cittadino medio.

Giacomo Balla, Parlano, 1934, Guidonia, Fondazione Biagiotti Cigna

L’avvicinarsi a questo particolare linguaggio significò per Balla un allontanamento dal Futurismo – cui aveva aderito negli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra, per inaugurare una nuova fase, conosciuta come post-futurismo, o figurativo futurista; un distacco probabilmente dovuto al fatto che nel Futurismo l’artista non leggeva la sincerità e la “promessa dell’avvenire” degli esordi. I primi approcci compiutamente figurativi risalgono alla fine degli anni Venti, con uno stile del tutto personale che non ha eguali in Italia, un realismo fotografico venato di possente dinamismo che, a prima vista, può essere interpretato come un’evoluzione del Futurismo, nella sua smania di avvicinare la pittura ai nuovi mezzi di comunicazione quali il cinema e la fotografia dei rotocalchi. Già durante il periodo divisionista Balla si era interessato alla fotografia, ma è in questa nuova fase che prende il sopravvento; una fase poco studiata dalla critica e che la mostra curata da Fabio Benzi riporta invece all’attenzione del pubblico, attraverso pitture di grande effetto visivo, che non “tornano all’ordine” né guardano ad altri momenti della tradizione artistica. Il percorso è puramente autonomo e nella sua ricerca di modernità ebbe nella moda e nella café society i suoi punti focali. Ne scaturisce un linguaggio cinematografico del tutto nuovo, consono alla visione contemporanea del mondo, ormai orientato verso la società di massa e il consumismo, ovvero l’anticamera della società dell’immagine.

Si accennava in apertura al violino: le pitture di Balla possiedono un dinamismo musicale non soltanto nella leggiadria delle figure femminili, ma in particolare nei giochi di luce e colore degli sfondi, con quelle forme immaginarie che vorticano sulla tela, creano contrasti geometrici e cromatici, simili a partiture sull’allegro con brio. Balla fu il precursore di quella “mitologia contemporanea” legata all’immaginario filmico e divistico del cinema e della moda che avrà in Warhol il profeta per eccellenza.

Nessun Commento

Inserisci un tuo commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.