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17 Ago

Giorgio de Chirico, Metafisica a Genova

Prorogata fino al primo settembre!

Palazzo Ducale ospita una grande antologica in cento opere, curata da Victoria Noel-Johnson, nel centenario della svolta decisa da de Chirico, che scelse di chiudere la stagione della Metafisica pura, per evolvere verso una sua dimensione storica e filosofica.

Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia con piedistallo vuoto, 1955 © Collezione Roberto Casamonti, Firenze

GENOVA. Nato nell’assolata isola greca di Volos e trasferitosi giovanissimo in Italia, Giorgio de Chirico (1888-1978) conservò sempre nella sua pittura l’idea un po’ amara del distacco, della struggente commozione del ritorno, ma anche quella più stimolante della scoperta di nuovi luoghi e nuove culture. Novello Ulisse, de Chirico viaggia sulla tela lungo la china dei millenni, s’interroga sul destino dell’uomo, vagheggia un impossibile ritorno al passato, e in quel passato cerca le radici di un’intera civiltà, anche scavando negli anfratti un po’ inquietanti della mitologia, coniugando gli aspetti umani e cosmici della realtà. Che in quell’inizio di Novecento, al momento del suo esordio sulla scena artistica, si presentava tutt’altro che tranquilla: la Belle Epoque aveva esaurito il suo slancio ottimistico, l’ombra della guerra si avvicinava sempre più su un’Europa dominata dai nazionalismi, e le agitazioni sociali rendevano ancora più rovente una società europea che da agricola stava diventando sempre più industrializzata. L’incontro con la modernità fu quindi assai drammatico, e il mondo dell’arte sentì la necessità di adeguarvisi, interpretando il sentire dell’umanità. Fra le avanguardie che nacquero in quel primo scorcio di secolo, dopo il Cubismo e il Futurismo, anche la Metafisica riveste un ruolo di primo piano, pur essendo limitata a pochi anni e a pochissimi pittori. Scaturì dalla mente di Giorgio de Chirico (seguito dal fratello Alberto, noto con il cognome di Savinio, e da Carlo Carrà ), appunto, interessato a indagare una pittura della realtà che andasse oltre il dato sensibile; nata fra Torino, Firenze, Ferrara e Parigi (dove de Chirico soggiornò fra il 1911 e il 1915), elesse la città a simbolo della modernità, e i primi esempi in tal senso vengono da quelle piazze assolate, solitarie, idealizzate, sospese fra antico e moderno, e che riecheggiano la malinconia di Nietzsche intesa come l’accesso privilegiato alla memoria e all’interiorità. Città come memoria dell’infanzia, e insieme si riallaccia alle antiche agorà di ellenica memoria, dando corpo a una moderna mitologia.

Giorgio de Chirico, Diana addormentata nel bosco, 1933, © Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma

Il passaggio della Grande Guerra si lasciò alle spalle un’Europa diversa da quella del 1914, e anche il mondo dell’arte ne uscì profondamente cambiato; morte e distruzione ne segnarono profondamente la sensibilità, si cercava un’evasione dalla realtà e il recupero di quella spiritualità che l’individuo sembrava aver smarrita. Su queste basi, de Chirico decise di attualizzare la pittura metafisica, avvicinandosi al Surrealismo, che sulla scia del Dadaismo costituiva in quel momento la nuova avanguardia europea.

Nella sua impostazione, la mostra genovese intende riconsiderare l’intera produzione di de Chirico successiva al 1918, come concettualmente legata alla Metafisica precedente, e a dimostrare quindi la continuità di un percorso che non ha rinnegato se stesso nel suo evolvere, ma al contrario abbia ampliato l’orizzonte sfiorando il Surrealismo e fondamentalmente proseguendo quell’indagine filosofica, nietzschianemente esistenzialista, dove passato e presente si rincorrono affiancandosi. De Chirico non si occupa di dimensioni inconsce, di atmosfere e situazioni legate al mondo onirico, bensì resta costantemente attaccato alla dimensione interiore dell’individuo, fatta di memoria, di angoscia, di introspezione. La frequentazione, moderata, del Surrealismo fu dovuta a un adeguamento stilistico con i nuovi tempi, ma non è da leggersi come un rinnegare le sue origini metafisiche, al punto che queste caratterizzarono tutto il suo lunghissimo cammino pittorico. Che fu variegato, perché l’impronta di de Chirico fu anche quella di un’interpretazione romantica della classicità, che emerge in particolare nella ritrattistica, dove predomina un certo realismo solenne, derivato dall’afflato nordeuropeo, e dal forte impatto emotivo; colori caldi ma scuri, vicini alla tavolozza di Gustav Klimt. Accanto a opere del genere, tornano costantemente le piazze assolate e geometriche degli esordi, con quei manichini senza volto dall’afflato teatrale e quasi pirandelliano.

De Chirico fu un pittore completo, che seppe omaggiare anche la tradizione tardo rinascimentale italiana, mantenendo sempre, al contempo, la sua identità, ovvero quella Metafisica che con grazia, eleganza, bellezza, amarezza, riesce a tracciare il vasto abisso dell’interiorità umana.

 

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