A pensarci bene, cosa c’è di meglio che conquistare il mondo con il proprio strumento? Essere consapevole che esso possa darti modo di abbattere tutti i confini e le barriere più di qualsiasi altra cosa. E poi la magia si avvera, se riesci a trasportare te stesso in quello strumento, tanto da farlo diventare la tua seconda “voce”, che a volte racconta meglio ciò che sei, delle tue stesse parole. Alessandro Quarta ha scelto fin da piccolo di suonare il violino, e poteva avere una carriera continuativa in orchestra, avendo ricoperto per molti anni il ruolo di violino di spalla per direttori quali Lorin Maazel, Mstislav Rostropovich, Myung-Whun Chung, Georges Pretre, Zubin Metha, effettuando tournées in Europa, America, Cina, Giappone, Medio Oriente e suonando nelle più prestigiose sale del mondo. Ma forse quel mondo gli andava stretto, così ha cercato una “nuova via”, dedicandosi anche ad altri generi. In poco tempo ha avuto modo di collaborare con realtà al di fuori della musica “colta”, salendo sul palco con artisti come Il Volo, Dee Dee Bridgewater, Mike Stern, Toquinho, pur non abbandonando il mondo classico, suonando con gruppi quali il Quartetto del Teatro alla Scala, il Sestetto Stradivari, i Solisti dei Berliner Philharmoniker. Ma Quarta non è solo esecutore e al suo attivo ha diversi dischi: già dal suo primo lavoro One More Time (del 2010), riuscì a farsi apprezzare, tanto da essere definito, qualche anno dopo, “Musical Genius” dall’emittente televisiva CNN. Significativa è anche la sua collaborazione con il ballerino e coreografo Roberto Bolle, per cui ha composto e arrangiato il brano Dorian Gray, presentato in prima mondiale durante alcune tappe del tour “Roberto Bolle & Friends 2018”, per poi portare lo stesso brano, lo scorso capodanno, in televisione per lo show di RaiUno Danza con Me, in cui Alessandro si è esibito davanti a 5 milioni di telespettatori. Ultima fatica del violinista salentino è la pubblicazione dell’album Alessandro Quarta plays Astor Piazzolla, uscito quest’anno, tributo al riformatore del tango e strumentista d’avanguardia Astor Piazzolla. Il disco, candidato Grammy, è il primo al mondo, con sonorità jazz, registrato in 3D.
Un’artista dalle mille sfaccettature; e per capire meglio il mondo e le scelte di Alessandro Quarta, l’abbiamo intervistato.
Cosa ti ha portato a scegliere il violino come strumento?
«Sinceramente non ricordo, avevo due anni; sicuramente il suono del violino, mi piace essere riconoscibile con uno strumento così difficile».
Dopo diversi anni in cui sei stato parte di un’orchestra, hai deciso di intraprendere la carriera da solista, cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
«La scelta era nata prima, in realtà. Chi sceglie uno strumento etichettato come classico come il violino o la viola, che difficilmente trovi tra gli artisti pop, per forza di cose hai un percorso di studi da solista. In seguito arriva l’esperienza con l’orchestra; che è il miglior modo per diventare grandi musicisti, perché devi riuscire a essere allineato col resto del gruppo e stare dentro a un suono. Devi condividere le emozioni della partitura con tanti altri della tua fila. L’orchestra ti insegna ad amare la musica e a conoscerla. Ho fatto la scelta di uscirne perché mi sentivo costretto, avevo bisogno di parlare di me singolarmente».
Il tuo ultimo progetto discografico è legato alla musica di Astor Piazzolla, perché hai scelto proprio il musicista argentino?
«Io nelle composizioni di Astor vedo tutte le emozioni che fanno parte dell’uomo: gioia, tristezza, le difficoltà della vita di andare avanti e di amare. Ma anche di non essere amato. Ma soprattutto vedo le due che per me sono le più importanti: la sessualità e la sensualità; anche se molto spesso ci dimentichiamo che sono loro due a rendere un uomo quello che è. In Astor si racchiudono tutte queste emozioni che il più delle volte si riscontrano nei grandi compositori del passato, ma mai tutte insieme».
In una tua dichiarazione hai affermato che, per essere un ottimo musicista, oltre il talento ci vuole anche tanta disciplina. In cosa consiste la disciplina che hai seguito, e se tuttora la pratichi?
«Ovviamente la pratico tuttora. Disciplina vuol dire fare le cose come vanno fatte, in modo perfetto, che ti piaccia o meno, è come costruire una casa in modo perfetto con i muri e le porte dove vanno messe; poi che gli interni piacciano o meno è un discorso diverso: l’importante è che non ti crolli addosso. Ci sono delle regole che vanno rispettate, ci vuole un’attenzione maniacale nei dettagli. Nella disciplina sono racchiuse queste cose: conoscere la musica, conoscere l’armonia, conoscere il fraseggio per conoscere la musica nella sua profondità, cosa che oggi si sta un po’ perdendo».
Al pubblico sembra piacere questa commistione tra classica e generi più “leggeri”. Secondo te a cosa è dovuto questo successo?
«Diciamo che potrebbe essere dovuto al fatto che sembra impensabile che un violino possa interagire con le emozioni di un’anima rock che va a sentire allo stadio Vasco o i Rolling Stones. Io in primis amo suonare il rock, sono un rocker e un bluesman dentro di me. In realtà anche Beethoven è rock, se senti una Quinta di Beethoven ti accorgi che è così potente e rock. La bellezza melodica dei grandi compositori come Mozart e la profondità degli abissi dell’architettura di Bach, sono tante le situazioni che oggi definiamo come musica classica, ma io odio le etichette, la musica è una. Come disse Leonard Bernstein quando scrisse West Side Story: non esiste musica leggera o musica classica, esiste musica bella e musica brutta.
Sono molti gli artisti con cui hai collaborato, quali tra questi ti hanno lasciato un ricordo più profondo e quali ti hanno deluso?
«Non mi ha deluso nessuno, se si intende una delusione musicale. Il ricordo più profondo è legato a Dee Dee Bridgewater, una cantante di uno spessore umano e musicale incredibile, l’ultima jazz vocal singer che ha preso il posto di Ella Fitzgerald. Il momento più commovente è stato quando a fine concerto mi è venuta vicino piangendo e mi ha chiesto se per favore potessi arrangiarle l’ultimo album, in quel momento non ci ho capito più nulla. Sai dopo 7 anni che i suoi dischi venivano arrangiati da Quincy Jones ero incredulo».
Con quale artista vorresti lavorare in futuro?
«Mi piacerebbe lavorare con Sting, amo la sua musica e come pensa la sua musica».
Quest’estate sarai in tournèe come solista e ospite nei concerti de Il Volo. Come è avvenuto l’incontro con loro?
«Subito dopo la mia esibizione con Roberto Bolle durante il suo programma Danza Con Me, nel quale ho portato il mio brano Dorian Gray, che ha registrato il più alto punto di share con 5mln e mezzo di telespettatori. Probabilmente tra i telespettatori c’erano anche i ragazzi de Il Volo, che dopo qualche giorno mi hanno invitato a partecipare alla serata dei duetti di Sanremo in qualità di ospite. Ho detto sì, non per la televisione o perché loro siano così famosi, ma per il fatto che fossero così giovani e già così ricchi di emozione e padronanza musicale; in più c’era la possibilità di presentare in un programma così importante la diversità, di affrontare “la massa” che decide se devi essere importante oppure no, e che ti rende cosciente del fatto che stai portando qualcosa, che piaccia o meno, che resterà nella storia. L’importante è esser sinceri, per essere artisti bisogna avere il coraggio di essere se stessi. È stato un incontro stupendo, ci è bastato pochissimo per entrare in sintonia».
Sogni nel cassetto e prossimi progetti?
«Sogni no, perché quello che voglio lo faccio, i sogni son desideri e quelli vanno soddisfatti da sè stessi. Prossimi progetti tantissimi, ora non li posso svelare ma già da settembre ne potremo rivelare alcuni».
La musica può salvare la vita?
«La musica dà la vita; la musica fa innamorare le persone e crea vita così come la può togliere. La musica ha influenzato anche tutta la mia vita, ho passato l’infanzia a studiare e migliorarmi, ho rinunciato alle cose “normali” che farebbe un ragazzino, ma non rimpiango nulla e rifarei le stesse scelte. Quindi si la musica può salvare la vita».
In copertina: Alessandro Quarta fotografato da Alessandro Tocco
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