Ha sede tra le verdi colline della Maremma toscana ed è considerato oggi uno dei più importanti appuntamenti estivi con la musica classica del nostro Paese. Parliamo dell’Amiata Piano Festival, fondato dal pianista Maurizio Baglini, suo direttore artistico, e giunto quest’anno alla sua 15esima edizione. I concerti si svolgono nel periodo estivo e si articolano in tre serie, Baccus, Euterpe, Dionisus, rispettivamente nell’ultima settimana di giugno, luglio e agosto, (cui seguono i Concerti di Natale all’inizio di dicembre). Ad ospitarli il Forum Bertarelli di Poggi del Sasso, in provincia di Grosseto. Auditorium voluto dalla omonima Fondazione Bertarelli – costituita per volontà dei fratelli Tipa – e progettato dallo studio Edoardo Milesi & Archos; un gioiello di acustica circondato da vigneti a perdita d’occhio e inserito in un suggestivo contesto naturalistico, nei pressi del castello di Collemassari, in cui si inserisce la proprietà della famiglia Tipa. Artista in residenza è la violoncellista Silvia Chiesa, compagna di Baglini nella vita così come in questa avventura musicale. PressRoom li ha incontrati proponendo loro un’intervista doppia per scoprire qualcosa di più sull’Amiata Piano Festival, il progetto che li vede protagonisti: sulla loro gestione “a quattro mani” e su vari aspetti della loro vita in musica.
L’Amiata Piano Festival giunge quest’anno alla sua 15esima edizione: cosa significa – e comporta – lavorare in qualche misura “a quattro mani” alla sua realizzazione?
Maurizio Baglini «Per fortuna che c’è Silvia! Sinceramente non sarei riuscito a fare tutto ciò senza il suo aiuto. Ovviamente, però, ciò comporta una peggior qualità della vita privata: si finisce per alimentare idee, progettare sogni, programmi e soluzioni di sviluppo al festival senza sosta, anche quando trascorriamo rarissimi momenti di relax!»
Silvia Chiesa «Arrivare assieme a Maurizio al traguardo dei 15 anni di APF è motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Il Festival ha avuto inizio in un momento delle nostre rispettive vite un po’ complicato, ma è cresciuto con noi e, partito come un sogno da realizzare, si è radicato ed imposto su un territorio che, tra l’altro, amo molto. Guardando al passato non posso dimenticare le giornate passate a mettere cartelli con l’indicazione stradale per raggiungere la sede dei concerti, o i momenti in cui a fine concerto dovevamo sempre rassettare la sala per la serata successiva… Si, sempre tutto a quattro mani! Ma la grande stima professionale che abbiamo l’uno per l’altro, fa sì che i sacrifici e le difficoltà passino sempre in secondo piano».
Fondatore e direttore artistico è Maurizio Baglini mentre Silvia Chiesa è, ufficialmente, artista in residenza. Ma, in una immaginaria e probabile ripartizione dei lavori della complessa macchina Festival, chi è più idoneo a far cosa e perché? E, soprattutto, esiste invece qualcosa da cui, conoscendolo, esonerate l’altro perché ritenete sia preferibile?
M.B. «Silvia è di fatto un’unica ed irripetibile partner: assistente di palcoscenico, responsabile del piano prove, coordinatrice di una logistica che per noi, durante ogni tranche del festival, si rivela davvero massacrante. Io metto in campo le idee ed i contenuti artistici e di repertorio, ma non senza il suo aiuto: ricordo ad esempio che Silvia è ideatrice del music master, primo esempio in Italia in senso assoluto di combinazione fra giovani talenti emergenti e artisti in carriera. Poi io sono il legale rappresentante di tutta la macchina amministrativa ed economica del Festival; sostanzialmente ho un ruolo di manager, presidente e direttore artistico».
S.C. «Maurizio è un musicista e pianista straordinario. Uomo di cultura e sensibilità davvero uniche. Come direttore artistico è sempre alla ricerca di progetti, non concerti, che lascino il segno e, in un certo senso, possano far pensare coloro che hanno assistito all’evento. Forse in questo momento storico, lavorare in questa direzione è molto difficile e occorre senza dubbio una tenacia fuori dal comune. Cerco sempre di stare al “passo” di Maurizio e lo sostengo perché so che quello che pensa riguardo a nuovi progetti non è mai volto ad un suo successo personale ma al creare una vera esperienza per coloro che decidono di farne parte».
Una creatura comunque di entrambi ma esistono punti su cui negli anni non siete stati particolarmente d’accordo? E, in questi casi, chi alimenta il fuoco e chi invece cerca di spegnerlo?
M.B. «Punti di disaccordo non direi: semmai Silvia è pronta a sedare ogni mia incandescenza in merito all’inserimento dei programmi considerati generalmente difficili: mi ha aiutato ad avvicinare il pubblico in maniera graduale e non troppo drastica, essendo lei una vera interprete del Novecento e del Duemila. Se poi volessi davvero realizzare un giorno un Crepuscolo degli Dei di Wagner all’aperto, so già che rimarrei solo! Scherzi a parte, a volte ho idee troppo avveniristiche o irrealizzabili: non bisogna dimenticare che il Forum Bertarelli, auditorium fra i più belli che esistano a livello acustico ed architettonico in Europa, non è un teatro che funziona tutto l’anno; ogni progetto deve tenere conto di una logistica che conta su sforzo ed energie straordinarie nostre, della nostra assistente Ilaria e dell’equipe di Collemassari, azienda vinicola in cui il forum si trova. Ergo: la sala è stata creata grazie al successo che il Festival ha saputo stratificare e consolidare negli anni, e va dunque trattata come si tratta un purosangue di razza, ovvero con grande rispetto».
S.C. «Si, alle volte abbiamo discusso, ma sempre in modo costruttivo. Maurizio talvolta pensa a progetti troppo complessi da realizzare sul piano tecnico e a quel punto, mi spiace molto, ma devo riportarlo con i piedi per terra. Mi dispiace naturalmente, ma penso sempre che una idea geniale non vada mai realizzata con mezzi che non la possano fare brillare appieno. Ecco perché alle volte preferisco magari aspettare. Certo, non è facile convincere Maurizio, ma credo che di me si fidi e penso che sappia che, se lo faccio ragionare, è sempre per un motivo valido».
Il pensiero più frequente ogni anno il giorno di inaugurazione del Festival? E l’ultimo?
M.B. «Prima dell’anteprima pensiamo a quanto ogni anno ci si spinga sempre più avanti con le ambizioni: ad esempio, quest’anno ci sono quattro orchestre sinfoniche, cosa impensabile fino a qualche anno fa! Dopo l’ultimo concerto ci diciamo sempre: “l’anno prossimo allentiamo un po’ i ritmi”, ma puntualmente sappiamo che cercheremo invece di andare in crescendo, è come una droga!».
S.C. «Beh, l’inaugurazione è sempre un momento atteso ma non è l’unico. I concerti li viviamo a fondo, tutti nello stesso modo. Quando poi si arriva all’ultimo concerto quasi si è increduli davanti al fatto che sia già passato un anno. Organizzare un Festival non è un lavoro di pochi giorni: si è impegnati a tutto tondo e per 365 giorni l’anno. Abbiamo dei collaboratori che lavorano con noi da anni e ci sostengono in questo progetto con grande dedizione. Perché, non dimentichiamo che io e Maurizio suoniamo molto all’interno del festival per volere della Fondazione Bertarelli che sostiene l’intero progetto».
Bilanci ad oggi di questa impegnativa quanto fortunata intrapresa?
M.B. «Per noi Amiata Piano Festival è come un figlio di cui andiamo fieri giorno dopo giorno».
S.C. «Mi piacerebbe che i bilanci potessero farli le persone che dal primo giorno ci hanno seguito. Essere apprezzati e seguiti non solo come musicisti ma come organizzatori è un vero onore. Direi che possiamo essere molto soddisfatti d’aver creato qualcosa in un territorio dove la musica non esisteva. Un seme che ha dato grandi frutti. Vorrei tanto che tutti i musicisti potessero far lo stesso in qualsiasi luogo, in modo tale da zittire finalmente coloro i quali dicono che la musica e la cultura in generale non sono importanti».
Cosa significa essere coppia sia nella vita privata che in quella professionale?
M.B. «Per me è un privilegio: ovvio, è possibile se si ha lo stesso livello artistico e professionale, cosa che noi abbiamo la fortuna di poter rivendicare. Significa poi avere una sincerità disarmante che permetta all’uno e all’altra di poter sempre mantenere un senso critico forte e reciproco».
S.C. «Significa condividere, sempre, tutto. Un privilegio sul piano professionale, sicuramente. Ricordo la prima volta che suonai in diretta radiofonica in concerto con Maurizio. Ancora non era stato detto che eravamo una coppia…eppure qualcuno mi telefonò dicendo: “c’è una intesa impressionante, sembra che i vostri cervelli siano collegati”. Certo, quando si condivide tutto qualcosa naturalmente si perde…ma io sono felice così».
Cosa adora dell’altra metà?
M.B. «L’intelligenza e la tenerezza che sa esprimere, oltre all’espressività che sa comunicare attraverso il suo adorato violoncello!».
S.C. «L’onesta intellettuale, la dedizione alla professionalità, la genialità, la generosità, la sensibilità, la bontà…ma sono solo alcune cose. Maurizio è un uomo che soffre del fatto d’avere una velocità impressionante su tutto. Questo a volte lo fa sentire solo, ma quello che sempre gli ripeto è che questa qualità lo porterà molto lontano».
E cosa, invece, capita che…gradisca un po’ meno?
M.B. «Il fatto che a volte pensa troppo a lungo e non si gode l’estemporaneità della vita. Ma alla fine è per questo che Silvia è vincente, quindi va bene così».
S.C. «Odio il suo cellulare! È uno strumento invasivo, ma è anche quello che gli permette di lavorare su più fronti a questi ritmi. Certo, durante le poche vacanze che ci concediamo, esigo rimanga spento il più a lungo possibile».
La sensazione più frequente nel condividere il palco?
M.B. «Una vera simbiosi: se uno dei due sbaglia qualcosa, accade anche all’altro, spesso…se uno dei due fa una cosa estemporaneamente diversa, l’altro/a lo segue per puro istinto! In una parola: la fiducia reciproca totale e insostituibile».
S.C. «Felicità, complicità, anche competizione! Ogni concerto che faccio con lui vorrei stupirlo con qualcosa: un colore, una tensione drammatica, un silenzio, una emozione speciale. Non so se riuscirò, ma questo è ciò che desidero davvero».
Quanto conta invece nell’equilibrio complessivo della coppia avere contemporaneamente ognuno una propria carriera, come pianista e come violoncellista?
M.B. «È fondamentale: infatti gli impegni di duo non occupano mai più del 30/35 % delle nostre rispettive agende. Sul resto poi ci si segue reciprocamente, quando possibile. Se così non fosse, non saremmo dei solisti: desideriamo invece rimanere tali, e far sì che i due solisti possano poi far vivere un duo particolare e sempre riconoscibile».
S.C. «È assolutamente indispensabile. Avere spazi propri dove potersi esprimere e avere contatti con altri musicisti da soli con il proprio strumento è un grande momento di crescita artistica. Ogni esperienza è indispensabile per un giusto equilibrio. Dopo, tornare a “casa” arricchisce entrambi».
Quali i desideri e le speranze guardando al futuro di una kermesse di grande importanza nel panorama musicale classico italiano come l’Amiata Piano Festival?
M.B. «Mi piacerebbe che Amiata Piano Festival potesse vivere anche nei mesi invernali: almeno un concerto al mese per non avere interruzioni di sorta e far vivere alla comunità il piacere della musica e della cultura in senso permanente. Ma è forse una chimera…»
S.C. «Che possa essere il Festival delle idee, sempre, e che non si pieghi a ciò che risulta essere oggi più semplice. Che possa crescere ancora e che possa restare per sempre il simbolo dell’unione di Silvia e Maurizio».
In copertina: Maurizio Baglini e Silvia Chiesa fotografati da Davide Cerati
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