Nel quarto centenario della nascita, Firenze omaggia uno dei suoi ultimi mecenati, quel Cardinal Leopoldo che con la sua lungimiranza dette avvio a molte delle collezioni che ancora oggi si ammirano nei musei cittadini. A Palazzo Pitti, fino al 28 gennaio 2018.
In quel lontano 1617 Firenze, e l’Italia tutta, avevano ormai perso il primato culturale in Europa, stante l’involuzione civile e culturale portata dal vento della Controriforma, voluta dallo Stato Pontifico e severamente mantenuta dall’ordinamento spagnolo che, per via diretta o indiretta, vigeva su buona parte della Penisola, ridotta di fatto a una colonia di Madrid. Sulle rive dell’Arno si era ormai esaurita quella spinta civile e politica che aveva avuti in Lorenzo e Cosimo i suoi più mirabili esempi, così come si era inaridito il clima culturale, che aveva visto eccellere, fra gli altri, Leonardo e Michelangelo, Piero di Cosimo e Baccio Bandinelli. Ma, seppur in tono minore, Firenze non smarrì il suo rango di capitale della cultura, e all’interno della dinastia Medici si contarono illuminati esempi di raffinata passione per l’arte e il bello. Fra i continuatori della tradizione di famiglia, si pone il principe Leopoldo de’ Medici (1617-1675), creato Cardinale da Papa Clemente IX il 12 dicembre del 1667; non stupisca un’ordinazione in (per l’epoca) così tarda età. La sua ascesa alla porpora si rese necessaria dopo la scomparsa del Cardinale Carlo de’ Medici, quando venne a mancare un rappresentante della famiglia in seno al Sacro Collegio. La scelta cadde su Leopoldo, che sino ad allora aveva affiancato il Granduca Ferdinando, suo fratello, nella guida dello Stato, e aveva ricoperto importanti incarichi di governatorato a Siena. Agli impegni politici, aveva però da sempre alternata la passione per le opere d’arte, per l’antichità, per la scienza, e per la bellezza in sé che rappresentava da due secoli un segno distintivo della dinastia medicea. Alla sua figura di uomo di lettere, d’arte e di scienza, rende omaggio Leopoldo de’ Medici. Principe dei collezionisti, la mostra curata da Valentina Conticelli, Riccardo Gennaioli e Maria Sframeli, che racconta, attraverso un’ampia selezione di opere d’arte e oggetti da lui collezionati, la sua vasta cultura e la lungimiranza con cui si accostava all’arte.
La mostra non ha però carattere meramente documentario, e si apre infatti con una sezione dal sapore intimo, quasi un modo per “fare conoscenza” con il principe Leopoldo, che comprende una serie di suoi ritratti, da quello ancora in fasce, eseguito dal Ligozzi, agli altri in età matura eseguiti dal Suttermans, che lo immortalò più volte, fino al ritratto in porpora cardinalizia eseguito dal Gaulli. Da queste opere, si conosce l’ambiente dei pittori di corte, che, a essere sinceri, poco fecero per mascherare il volto un po’ cascante del principe. A impreziosire la sezione, il Ritratto del musico Simone Martelli (1660 circa), eseguito dallo stesso Leopoldo, grande appassionato di musica, e persino pittore dalla buona mano, stante l’accuratezza con cui rende i tratti del volto del suonatore di liuto, gli sboffi della casacca, il berretto piumato. E ancora, visibili una serie di carte con bozzetti di disegni, sonetti, indovinelli e sciarade, realizzati da Leopoldo per suo piacere personale, sorta di “diario culturale” per tenere la mente in esercizio. Proseguendo per le sale, la mostra approfondisce i numerosi campi d’interesse del principe, dall’arte antica a quella a lui contemporanea, dalle scienze alla numismatica, dalla pittura alla scultura, fino alla linguistica. Fu infatti, dal 1641, accademico della Crusca, per la quale contribuì alla stesura della terza edizione del celebre Vocabolario, così come accademico del Cimento, consesso da lui stesso fondato nel 1657 assieme al fratello Ferdinando.
La mostra è quindi un viaggio nell’arte e nella cultura, per come fu apprezzata da questo illustre personaggio, che amò la bellezza classica, ma anche quella meno “accademica” dell’arte orientale; nella sua collezione trovano infatti spazio le statuette egiziane d’Età Tolemaica, così come idoletti in bronzo della Civiltà Nuragica, accanto alle maestose statue d’età romana. Opere dalla differente, espressiva bellezza, che narrano l’evoluzione delle civiltà antiche, il loro senso del sacro e dell’umano, così come del mitologico. Opere dalla solenne bellezza, oltre che preziose testimonianze storiche, molto apprezzate dal principe Leopoldo, che seguiva con attenzione le campagne di scavi archeologici, a Roma ma anche in Toscana.
Non minore il suo interesse per la scienza (aveva infatti avuto come suoi precettori prima Jacopo Soldano, poi il padre scolopio Flaviano Michelini, entrambi allievi di Galileo Galilei, ai quali successe quell’Evangelista Torricelli inventore del termometro. E molti sono gli strumenti collezionati (e utilizzati) da Leopoldo, fra cui appunto termometri, astrolabi, sfere armillari, orologi solari e a sabbia, nonché alcuni degli strumenti appartenuti allo stesso Galileo Galilei. Un dettaglio che dimostra la sua coerenza di uomo di cultura, non incline a sostenere il fanatismo della Chiesa di Roma, per la quale Galileo era un eretico. Non meno vasti gli interessi in fatto di pittura, dal Rinascimento del Lotto, del Bronzino, del Veronese, di Tiziano, fino alle nuove istanze barocche. Soggetti che, per la loro natura mitologica e sensuale, si accordano alla sua natura di uomo gaudente. Ma molti dei dipinti sono anche autoritratti, e l’attuale collezione degli Uffizi prende infatti avvio da questo primo nucleo, poi nel tempo ampliato dai discendenti Medici, così come dai Lorena. A questo proposito, gli Uffizi rendono omaggio a Leopoldo con l’acquisizione, perfezionata recentemente, dell’autoritratto di Michelangelo Cerquozzi, che il Cardinale cercò di acquistare ma senza successo. L’interesse per l’oggettistica in avorio fece nascere anche l’attuale collezione degli Uffizi, con oggetti che vanno dall’Età Romana al XVI Secolo. Passeggiando sala dopo sala, immersi in questa varietà di opere d’arte e testimonianze del passato, che spazia dalle scienze alla pittura alla letteratura, il visitatore non può non restare affascinato dall’amore profondo per la cultura che ebbe il Cardinale Leopoldo, il quale riconosceva nell’opera d’arte sia un manufatto estetico pregevole, sia una chiave per leggere il sentire delle civiltà antiche e presenti. Il suo essere mecenate e protettore delle accademie ne fece anche un uomo di scienza, per impulso del quale Firenze visse l’ultimo suo momento di splendore, prima dell’avvento del meschino Cosimo III. E in ultimo, un po’ di nostalgia può nascere nel visitatore, per il tipo d’uomo che incarnò Leopoldo: ovvero, un esponente della classe al potere, che teneva la cultura in grandissima considerazione, e che lavorò alla creazione di un patrimonio che poi sarebbe divenuto proprietà perpetua della città. Esempi dei quali oggi, la classe politica attuale, ha persino perso il ricordo e che con la cultura ha un rapporto fra il ridicolo e il problematico.
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