Il fascino della perfetta geometria delle voci. Il segreto dell’interazione gentile. La comunione d’intenti. L’equilibrio. L’assenza di protagonisti. La capacità di ascolto reciproco. Tutto questo è racchiuso nella magia del Quartetto d’Archi. All’ensemble strumentale più amato nel XVIII secolo è dedicato il progetto nato nella primavera del 2015 per sostenere i giovani quartetti d’archi nel faticoso percorso della formazione e divenuto dal dicembre 2016 Associazione Le Dimore del Quartetto. Grazie alla sinergia con l’Associazione Dimore Storiche Italiane ed alla gestione di Francesca Moncada lo sviluppo è stato rapido e inarrestabile. «La forza del progetto sta nella sua semplicità. Ho pensato di mettere in comunicazione due mondi affascinanti che hanno risorse preziose ed esigenze interscambiabili, ho cominciato con gli amici e il successo è stato immediato», questo il segreto della felice formula nelle parole della fondatrice Francesca Moncada. Oggi, il circuito Le Dimore del Quartetto conta centosessantatre dimore in sette Paesi, cinquantacinque tra quartetti e trii (età media dei musicisti, 28 anni), dieci residenze al mese, un concerto ogni due giorni. Incontriamo la Presidente Moncada per domandarle del progetto, di bilanci e speranze.
Come e quando nasce il progetto?
«Il progetto nasce poco più di tre anni fa, nel 2015. In quel periodo aiutavo un Quartetto, formazione che mi sta particolarmente a cuore, consapevole di quanto fosse faticosa la vita a quattro. I loro spostamenti per masterclass e concerti erano frequenti e chiedevo per loro ospitalità perché potessero ottenere un appoggio logistico in queste occasioni. Spesso tutti vivevano molto distanti. L’idea si rivelò vincente. Funzionava e così si è pensato di renderla “strutturata” attraverso il coinvolgimento di Dimore Storiche e la richiesta ai proprietari di ospitare gli ensemble in residenza in cambio di concerti. Si è così creata una piccola rete e data ai quartetti la possibilità di usufruire di case che li potessero ospitare. In occasione di ogni concerto l’offerta di case aumentava, fino a passare dalle 10 del 2015 alle centosessantatre attuali (la rete di dimore è stata creata in collaborazione con l’Associazione Dimore Storiche Italiane, il Fondo Ambiente Italiano e l’European Historic Houses, ma è aperta a tutte le case che abbiano la possibilità di ospitare e appartengano a persone dinamiche e appassionate).
Gli ensemble che chiedevano di far parte della rete iniziarono ad arrivare da tutto il mondo, così come cominciarono le collaborazioni con im
portanti istituzioni musicali tra cui l’Accademia Stauffer, la Gioventù Musicale Italiana e l’Accademia Chigiana, in Italia, così come Proquartet in Francia, Musikakademie Schloss Weikersheim in Germania, Borletti Buitoni Trust nel Regno Unito. Nel 2018 abbiamo firmato la collaborazione con 12 tra le principali società di concerti italiane che si sono impegnate ad inserire i quartetti nella propria programmazione. I concerti sono stati più di duecento ed è previsto un numero ancora superiore per il 2019. Abbiamo poi vinto il bando della Fondazione Cariplo destinato all’Innovazione Culturale (il progetto è stato selezionato tra i venti vincitori su trecentoventuno partecipanti da tutta Italia), una grande conquista per i Quartetti d’archi e le Dimore Storiche. E creato un gruppo di lavoro più grande, in grado di affrontare l’impegno esteso al resto d’Europa – tra le ultime sedi interessate, Londra, il Belgio e la Francia. La direzione artistica è affidata a Simone Gramaglia, viola del Quartetto di Cremona. Siamo partiti come piccola realtà, ma la crescita non ha tardato ad arrivare. Questo grazie all’altezza delle collaborazioni e all’elevata qualità su cui abbiamo puntato fin da principio, sia per quel che riguarda il livello artistico dei quartetti che per quello delle dimore storiche scelte. La contaminazione realizzata tiene conto del fatto che si tratta di un genere per amatori e specialisti: i concerti che proponiamo sono brevi e di altissimo livello. In molti si sono rivelati desiderosi di aprire le proprie case a concerti bellissimi realizzati da giovani talentuosi e valorizzare così la magia di questi contesti».
Quale il nesso con La Società del Quartetto?
«Nessuno, se non il fatto che io sia Vicepresidente della Società del Quartetto. Ma certo questo mi ha consentito di rivolgermi agevolmente alle Società di Concerti. Così come di comprendere agevolmente i loro bisogni per quel che concerne la programmazione, poter differenziare l’offerta e contribuire a incrementare il pubblico. Il progetto di collaborazione con le società di concerti passa infatti attraverso la creazione di nuovi luoghi di fruizione della musica e l’intercettazione di nuovo pubblico».
Come avviene il reclutamento dei protagonisti, la selezione degli ensemble?
«Molti quartetti chiedono di entrare nella rete o sono le Accademie – non solo italiane ma europee – a segnalarli. Pagano un “fee” irrisorio di duecento euro e spesso sono le Accademie stesse a pagarlo per i loro migliori quartetti. I migliori quartetti da loro segnalati ovviamente rappresentano già le eccellenze, ma l’ultimo passaggio è sempre affidato alla Direzione Artistica di Simone Gramaglia».
Quali finanziamenti sorreggono questa rete di “concerti virtuosi”? Come si finanzia quindi il progetto?
«Come dicevo, i quartetti pagano un fee di duecento euro all’anno che diventa una cifra superiore, di ottocento, se usufruiscono di servizi più importanti. Altri piccoli contributi economici derivano dalle collaborazioni con il FAI e le altre realtà. Le organizzazioni di Società di Concerti corrispondono un cachet ai quartetti e noi ci occupiamo della logistica così come della conversazione che precede ogni concerto. Un’importante copertura per quel che riguarda l’aspetto economico deriva poi dalla vincita del bando della Fondazione Cariplo di cui si è precedentemente accennato. E, ancora, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze è intervenuto per i concerti realizzati in Toscana, così come i nostri soci e i proprietari delle case. Il nostro obiettivo è creare una sorta di “ponte alla carriera” per i giovani quartetti ma anche permettere alla musica da camera di tornare nei luoghi per cui è stata concepita».
La sua visione sul futuro della musica da camera – spesso trascurata dalle principali programmazioni dei teatri – nel nostro Paese?
«Credo che oggi il modo di ascolto della musica da camera sia stravolto: nei teatri perde di intimità mentre richiederebbe grande concentrazione. Poi, è importante poter vedere e cogliere l’interazione e il gioco di sguardi e respiri tra i musicisti. È una parte fondamentale dello spettacolo. La musica da camera deve essere “sdoganata” e tornare ad essere un’abitudine, ma soprattutto deve essere fruibile in modo facile. Va riportata alle origini, insomma. D’altronde, la musica classica è l’unico genere di spettacolo che non si è modificato con il cambio dei tempi rispetto a quanto avvenuto per altre forme d’arte (basti pensare a quella visiva e quanto avvenuto nei musei, ma anche al cinema etc.). Si è rimasti granitici e le modalità non sono cambiate, i concerti sono molto lunghi e probabilmente la concentrazione non è abbastanza oggi perché si possano reggere due ore di musica. Per attirare il pubblico occorrono formule che consentano di non essere a disagio. Per questo i nostri concerti hanno una durata inferiore e i musicisti spiegano prima dell’esecuzione ciò che suoneranno. Così facendo abbiamo riscontrato che le persone si mostrano aperte alla nuova esperienza e apprezzano l’esperimento».
Quale la risposta del pubblico, quindi?
«Il gradimento si è rivelato altissimo. Abbiamo chiesto al pubblico di compilare un questionario e ricevuto dal 95% degli intervistati il punteggio massimo per l’esperienza. Anzi, le più entusiaste si sono rivelate proprio le persone che non avevano mai ascoltato musica prima. E tra loro abbiamo contato molti che si sono avvicinati al concerto per motivi differenti e svariati, come la curiosità di vedere la dimora che lo ospitava o attratti semplicemente dalla leggerezza della formula proposta».
Una sorta di mecenatismo per il sostegno dei giovani quartetti d’archi, ma quale futuro si prospetta, a suo avviso, per loro?
«Se questa formula insieme ad altre nuove e diverse verranno sviluppate il futuro certamente esiste. Ma è basilare creare la domanda. Il Quartetto rappresenta la forma di musica più alta che si possa eseguire. Ed è una metafora su come si possa collaborare per quel che riguarda il concetto di leadership condivisa, anche per i manager. Porto infatti il Quartetto nelle aziende e spiego loro il segreto del lavorare insieme proprio delle dinamiche di un quartetto. Dell’essere capaci di mettere quattro teste in armonia senza direzione alcuna. La gente rimane affascinata, ed è un bisogno di tutti che la mente si concentri su qualcosa di più alto intellettualmente e spiritualmente».
Tra i progetti futuri che desidera segnalare…
«Uno in particolare: il prossimo 31 gennaio inizia un ciclo in collaborazione con la Fondazione Cini denominato “Archipelago”. Una serie di sei concerti in collaborazione con Gioventù Musicale Italiana e Accademia Stauffer con lo scopo di unire i quartetti a giovani solisti per ottenere nuove formazioni».
Rita Milani
Sempre interessanti queste interviste.
Redazione
Grazie infinite!