Romana, lavora nei teatri di tutto il mondo, sia di prosa che lirici: Carla Teti è tra le più note e apprezzate costumiste italiane. L’ho intervistata con grande piacere, ammirata come sono dalla sua creatività mai scontata.
Potrebbe tratteggiare brevemente la sua formazione?
Ho studiato Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma e mi sono appassionata al Teatro sin dagli anni del liceo, così ho pensato potesse diventare la mia professione. La mia prima esperienza lavorativa è stata nel 1989 per uno spettacolo di Memè Perlini, grande regista dell’avanguardia teatrale italiana. Nel 1994 ho vinto un concorso di Scenografia dell’Associazione Teatro di Documenti fondata da Damiani, Ronconi e Sinopoli. Sono scenografa, ma l’interesse si è focalizzato subito sul costume, sui personaggi che vivono la scena. Questo mestiere si impara molto sul campo. Ho iniziato firmando i costumi per molti spettacoli di prosa della Compagnia “I Fratellini”, con un grandissimo regista che ora non c’è piu, Egisto Marcucci, fondatore del Teatro della Rocca, e con lo scenografo Graziano Gregori, ed è stata un’esperienza molto importante. Successivamente, nella lirica, ho lavorato con registi come Konchalowsky, Michieletto e Abbado.
Da dove viene la sua passione per i costumi?
Sono cresciuta tra i tessuti e i colori. Provengo da una famiglia di tagliatori e sarti e mia mamma mi ha trasmesso l’amore per la pittura, l’arte e i colori, quindi il mio percorso artistico è stato naturale. Ho sempre disegnato moltissimo sin da bambina e l’interesse era sempre focalizzato sull’essere umano.
Se non fosse diventata costumista, quale attività le sarebbe piaciuto svolgere?
Questo mestiere mi appassiona da sempre e mi rimane difficile pensarmi impegnata in un’altra attività, anche se amo tutte le espressioni artistiche, la pittura e la scultura, che mi sostengono sempre mentre progetto un costume.
Quali sono le sue fonti d’ispirazione?
Sicuramente la musica, il libretto e un’infinita documentazione che parte sempre dalla storia dell’arte, fonte inesauribile d’ispirazione. A volte l’illuminazione viene dalla strada: guardandomi intorno e facendo attenzione ai dettagli, ai gesti, ai visi e agli accostamenti cromatici colgo molti stimoli importanti per il mio lavoro.
Mi parli del suo metodo di lavoro: come si costruisce un personaggio?
Si studia l’opera, il libretto e la musica e in questa fase c’è un continuo scambio con il regista e il team creativo, si portano proposte e si discutono; mi documento molto sul periodo storico per poi “dimenticarlo”, lasciando sempre spazio all’interpretazione e alla fantasia e disegno fino ad arrivare all’idea del personaggio. Non amo il costume come mero accessorio esornativo. Il nostro è un lavoro strettamente legato al lavoro drammaturgico e allo spazio in cui i personaggi vivono. Il compito del costume è di essere funzionale all’idea dello spettacolo, aiutarci a capire il racconto, il personaggio, è la sua pelle. Deve farci comprendere cosa sta vivendo e che emozioni lo attraversano.
C’è un abito del cuore, tra i tanti che lei ha ideato? E un costume “difficile” che le ha dato soddisfazione?
Tanti costumi mi sono cari e la scelta è sempre difficile, non sono i costumi “più belli” quelli a cui sono più legata. È troppo facile fare un bel costume, ma si esaurisce subito se non ha un’anima. Mi sono divertita a progettare i costumi di Viaggio a Reims di Damiano Michieletto perché ho potuto spaziare dal realismo alla fantasia, dal costume storico al contemporaneo. Amo sperimentare anche i materiali, mi viene in mente Il Corsaro del 2009 per l’Opernhaus di Zurigo, dove i costumi di foggia ottocentesca erano stati realizzati in plastica.
Quale è la produzione del teatro lirico a cui è più affezionata?
Ogni produzione mi lega in maniera differente. Non potrei non essere affezionata al Flauto Magico, a Viaggio a Reims, ma anche Trittico, debuttato al Teatro An der Wien, Don Giovanni, Falstaff, Vedova Allegra ultimo spettacolo fatto quest’ anno alla Fenice, sempre con la regia di Michieletto, o al Boris Godunov di Konchalowsky… ogni allestimento mi regala qualcosa di importante.
Parliamo del suo rapporto con la musica in generale e con l’opera lirica in particolare…
La musica ci trasporta nel meraviglioso viaggio… Ho avuto la grande fortuna di disegnare i costumi per un Flauto Magico diretto da Claudio Abbado ed è stata un’esperienza unica, irripetibile ed estasiante.
Già da vari anni lei crea abiti per le produzioni d’opera firmate da Damiano Michieletto: come si lavora all’interno del team creativo più innovativo e ricercato del momento?
Lavoro con Damiano Michieletto dal 2004 e in questi anni si è creata una forte intesa. Con il team creativo c’è una grandissima sintonia ed è molto bello quando si crea questo tipo di affiatamento di squadra in cui ci si capisce solo con uno sguardo. Nonostante questo, ogni opera è una nuova scoperta, un nuovo modo di affrontare i costumi, e questa sfida è la cosa che più mi diverte, si ricomincia sempre da zero.
Il suo stilista preferito: uno di ieri ed uno di oggi.
Amo le tribù africane, della Namibia, Kenya, Angola, orgogliose del proprio corpo che valorizzano con ornamenti e colori sempre in armonia con la natura e la loro profonda spiritualità. Non ho uno stilista preferito. Ammiro Dior degli anni ‘50, il taglio rigoroso di Valentino, la fantasiosa creatività di Alexander McQueen, la lineare semplicità di Armani.
Che rapporto instaura con le primedonne della lirica con cui lavora?
Vestire gli altri è anche essere un po’ psicologi. Il rapporto con il proprio corpo è per molti una questione delicata. È per me sempre interessante capire i punti deboli e sottolineare i punti di forza. È importante comprendere le esigenze di chi si ha davanti, confrontarsi, ascoltare e aiutare. Mi piace valorizzare la bellezza, ma la meta per me è raggiungere l’anima del personaggio. Molti cantanti conoscono perfettamente il loro corpo e sanno come valorizzarsi, ma questo non sempre corrisponde all’idea del personaggio. Mi piace creare una complicità, sostenere i cantanti/attori, senza però mai dimenticare la meta che ci permette di comprendere un racconto attraverso il loro costume. Ammiro l’intelligenza delle primedonne che dimenticano la moda e il proprio “io” e si immedesimano totalmente nel costume, nel personaggio, nella storia.
Quale pensa sia il futuro per il mondo dell’opera lirica?
Un po’ mi preoccupa, sicuramente in Italia non si sta attraversando un bel periodo e i teatri stanno facendo l’impossibile per tenersi in vita. Spero che venga valorizzata la cultura e che si capisca l’importanza di difendere l’immenso patrimonio che abbiamo.
Suoi progetti futuri?
Ne ho diversi in programmazione, tra questi firmerò i costumi per un’opera lirica alla Staatsoper di Berlino con la regia di Andrea Breth e poi un Macbeth alla Fenice con Damiano Michieletto. Ho poi un progetto molto interessante ma finché non si realizza preferisco non parlarne…incrociamo le dita.
(In copertina: Il viaggio a Reims, Dutch National Opera, Amsterdam)
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