Marina Viotti. Cognome pesante ma lei non lo fa pesare. Non ha bisogno di introduzioni ma di aggiornamenti perché è una che non si ferma mai, sempre alla ricerca di qualcosa di originale da inserire nel suo bagaglio culturale. Si sta costruendo una carriera a 360 gradi che oserei descrivere senza confini (tra opera, Cd, film, documentari e sport) come scoprirete nell’intervista che le ho fatto lo scorso 31 marzo, poco prima che iniziasse l’ultima recita dei Contes d’Hoffmann andati in scena alla Scala nel nuovo, eclettico allestimento di Davide Livermore.
Marina, innanzitutto complimenti per il suo Nicklausse /Muse in questi magnifici Contes. Siamo a Milano e mancano poche ore all’ultima recita, mi pare dunque naturale che la nostra conversazione parta proprio da qui: come si è trovata in questa parte, lei che è una grande interprete di quelle en travesti?
«È stato molto interessante perché Nicklausse non è totalmente maschile, c’è sempre la Muse dietro questo personaggio che lo rende molto androgeno. A me piace molto l’ambiguità perché come attrice è molto più stimolante, ci sono molte più dinamiche (anche vocalmente), tante piccole cose da fare e da sviluppare come la camminata e gli atteggiamenti. È stato interessante perché penso che nella vita sono un po’ così, faccio tanto sport, mi piace vestirmi comodo ma ogni tanto sono anche molto Carmen».
In questa produzione, ci sono stati momenti in cui l’ho trovata molto maschile ma anche molto femminile e seducente (una spalla perfetta per il povero Hoffmann). È qualcosa che Livermore le ha chiesto sin dall’inizio o è un tratto che è andato creandosi man mano che il personaggio si sviluppava?
«Sì, Livermore lo aveva pensato così sin da subito. Pensi che due mesi prima di iniziare le prove ho visto il costume e notato che non c’era il binder per appiattire il seno: c’era un corpo di donna sotto il costume da uomo. La prima volta che ho interpretato Nicklausse c’erano due caratteri diversi, la Muse e il ragazzino, ma in questa produzione ho dovuto lavorare per cambiare le abitudini, come non aprire le gambe quando ti siedi, non correre sul palco come un ragazzo etc».
In pratica ha dovuto imparare una nuova parte.
«Sì, ho dovuto reimparare un personaggio e questo mi è piaciuto tantissimo. Anche dal punto di vista vocale perché Offenbach, come sa, ha scritto tante versioni di quest’opera. La prima volta che l’ho fatta c’erano i dialoghi parlati ma alla Scala non ci sono, è tutto cantato. È un altro modo di farlo, quindi sì, è stato come imparare la parte da capo. L’unica cosa che conoscevo già bene erano due o tre arie».
Uno pseudo-debutto
«Eh sì, un debutto in many ways».
Il 14 aprile esce il nuovo album Porque existe otro querer prodotto da Aparté che ha registrato insieme al chitarrista Gabriel Bianco (ma ci sono anche il violoncello di Leonard Disselhorst e il sassofono di Gerry Lopez). Un CD che esplora le musiche francesi e spagnole o che si rifanno a quegli stili, cito solo alcuni dei compositori: Fauré, Massenet, Carillo, Torroba, Almaran, Ferré, Rossini, Viardot. Mi racconta, partendo proprio dal titolo, come è nato questo progetto e se è cambiato strada facendo?
«Il titolo è una frase estratta da una delle canzoni del Cd, Dos gardenias, del Buena Vista Social Club. Adoro quella canzone e mi sembrava che il titolo fosse un po’ il riassunto di tutte le altre canzoni presenti nel disco. Perché? Perché esiste un altro amore al di sopra della gelosia, della speranza, della delusione, esiste l’amore triste, l’amore di una madre, l’amore passionale…questa frase per me racconta tutto. E non so perché il titolo è in spagnolo, mi è venuto meglio così anche se mi era stato detto di cambiarlo in Love Songs perché troppo complicato. Ho detto subito di no, ce ne saranno mille di album chiamati così! E comunque questo titolo l’avevo dato al programma già quattro anni prima e non volevo cambiarlo.
Porque existe otro querer è nato in una bella maniera: io e Gabriel Bianco, il chitarrista, ci siamo conosciuti in concerto cantando una canzone di Jacques Brel arrangiata proprio da Gabriel e lì ho subito pensato che fosse un genio. Poi, durante il lockdown, abbiamo avuto il tempo di lavorare insieme, io alla ricerca del programma e lui agli arrangiamenti. La cosa che mi piace fare è il crossover, perché penso che così si possa raggiungere un pubblico nuovo, più giovane, che non deve avere paura perché in questo album non c’è una voce molto lirica, in questo caso la voce è più vicino alla chanson».
L’avete registrato durante il lockdown?
«No, abbiamo fatto dieci concerti prima e l’abbiamo inciso l’anno scorso in aprile. La storia bella è che all’inizio dovevamo registrarlo in una chiesa ma quando siamo arrivati abbiamo scoperto che avevano appena cominciato i lavori e non era possibile registrare niente perché si sentivano solo rumori. Ovviamente, siamo andati in panico totale ma la cosa straordinaria è che tramite l’etichetta discografica abbiamo conosciuto un rapper molto famoso in Francia che si chiama K Maro e lui ci ha invitati nel suo studio, lì hanno registrato i più popolari rapper e cantanti R&B. È stato un contrasto stupendo e mi è piaciuto tanto lavorare lì».
Molto bello anche l’ultimo video promozionale che è uscito, quello col ballerino.
«Anche questa è stata una scelta mia, mi piace raggruppare arti diverse. Come col programma, volevo musiche sia in francese (perché è la mia lingua madre) che in spagnolo (perché in questo periodo ho vissuto a Barcellona) e un mix di musica classica e popolare perché per me la chitarra è uno strumento nomade che parla a tutti. Con la chitarra puoi andare ovunque! E per me lo scopo di questo Cd è proprio quello di fare concerti non solo in posti classici ma anche in posti più pop, per aprire un po’ il mondo dell’opera ad altre cose».
E poi verrà presentato al pubblico per la prima volta il 29 aprile con un concerto alla Sainte Chapelle di Parigi. Che meraviglia! Ci saranno altri concerti?
«Esatto, lo presenteremo a Parigi e abbiamo aggiunto uno o due titoli che non abbiamo mai fatto live. Ci esibiremo con questi due amici che suonano il violoncello e il sassofono (con i quali abbiamo un altro progetto in comune) per dare un po’ più di colore e groove alla performance.
Per ora abbiamo 12 date tra Francia, Svizzera, Spagna, Germania e Croazia…purtroppo ancora nulla in Italia».
So che quando non sta facendo i salti mortali in scena è una molto sportiva. Che ruolo ha lo sport nella sua vita?
«Un ruolo fondamentale. Non posso stare due giorni senza fare qualcosa di sportivo, prima di tutto perché mi fa bene alla mente e al corpo buttare fuori lo stress (anche se faccio un lavoro bello, è un po’ stressante). Specialmente il padel, ma anche la palestra e tutti gli altri sport che faccio come il golf e il surf, aiutano a conoscere gente fuori dal teatro e questo mi piace veramente tanto. Io adoro le persone, adoro comunicare e sono molto aperta, in questo lo sport è come la musica: unisce chi non si sarebbe mai conosciuto altrimenti. Per questo pratico tutto lo sport. Nel padel, ad esempio, si gioca a quattro quindi io gioco sempre con persone nuove. Certo, ogni tanto succede che si incontrano persone non carine, ma è molto raro. Come nella vita, no?
E segue uno sport in modo particolare?
«Seguo un po’ la Formula1 da quando ho visto la serie Netflix Drive to Survive che mi è piaciuto molto ma se no non sono una tifosa; adoro il rugby e il calcio quando c’è il mondiale. Ho giocato a calcio anche con la squadra della Scala l’anno scorso (ricordo che mi avevano fatto una maglietta troppo carina). E in questo senso, sono sempre stata in un mondo maschile perché facevo rugby, pallamano, pallavolo e tanti altri sport. Quindi, lo sport fa bene alla mente e al corpo ma mi aiuta molto sul palcoscenico. Come in questa produzione dei Contes, ha visto tutte le cose che devo fare per quattro ore? Devo essere in forma»
Lei ha un background impressionante. Non solo ha un master in filosofia e letteratura ma ha studiato il flauto e ha anche sperimentato vari generi musicali (jazz, gospel, metal). Come è arrivata alla lirica? Tutto questo bagaglio culturale arricchisce le sue interpretazioni? Riesce a metterlo in pratica?
«Il problema è che a me piacciono tante cose. Sono curiosa di tante cose e ci sono tante cose che mi interessano. Dico sempre che quando non potrò più cantare farò degli altri studi perché mi piace studiare e imparare. E l’opera l’ho scelta perché è l’unione di tante cose che amo come la letteratura, la storia, il canto, la musica, fare l’attrice e anche il balletto ogni tanto.
Tutte queste cose mi aiutano a fare la mia carriera fuori dal teatro perché adesso devi pensare anche ai social media e a gestire tanti progetti, in questo senso il marketing mi sta aiutando tantissimo. Io faccio tanti progetti paralleli di crossover, ho fatto anche un film e un documentario, faccio mille cose e riesco a farle grazie al mio background, penso, e perché devo continuare a svilupparmi in altri modi – non solo nel teatro ma anche dall’esterno – dalle cose che vedo alle comunità che incontro. Ho bisogno di questo altrimenti non sono felice».
In famiglia Viotti, comanda la musica. Immagino le conversazioni a tavola tra di voi ma, cosa succede quando non siete d’accordo?
«Succede perché abbiamo un direttore d’orchestra, due professori d’orchestra e io che sono sul palco. Sono tre punti di vista e capita che ogni tanto non siamo d’accordo su una regia o su una scelta musicale, ma è la vita. A volte non siamo d’accordo neanche su altre cose, come la politica, ma parliamo e ci ascoltiamo a vicenda. È interessante e forse, in un certo modo, ci fa crescere. Poi, siccome siamo molto legati non succede mai niente. Per esempio, per un certo periodo a Lorenzo non piaceva tanto il bel canto e a me non piaceva molto Strauss ma con gli anni ho imparato a capirlo e anche lui ora dice ‘forse un giorno farò anch’io un po’ di Rossini’».
Quali sono i suoi modelli artistici (non per forza un cantante)?
«La Bartoli, perché oltre ad essere una meravigliosa cantante è una business woman. Ha il suo ensemble, il suo teatro, il suo festival. Una carriera così e una voce sana così dopo tanti anni, questo mi piacerebbe. Se no, come modello artistico adoro Bjork per le sue abilità artistiche e la sua creatività. Fa delle cose spaziali ed è subito riconoscibile! L’ho vista l’anno scorso a Montreux, la voce ancora perfetta.Il personaggio, ecco, questo a me interessa. E poi aggiungerei anche Beyoncé per la stessa cosa della Bartoli, sono women who empower».
Un sogno o tanti sogni nel cassetto?
«Il sogno come artista è quello di cantare Isabella nell’Italiana in Algeri con la regia di Ponnelle perché è una regia che ho visto tantissime volte da bambina diretta da mio padre e perché adoro il personaggio di Isabella. Il sogno che ho per me stessa è quello di trovare un equilibrio tra la vita professionale e quella personale che è un po’ più difficile ma lo devo fare per la mia felicità. Non voglio essere una cantante brava che ha fatto una bella carriera, voglio pensare che a cinquant’anni ho fatto altre cose, che ho lasciato un segno.
Pensare che sono felice nella mia vita, questa è la cosa più importante».
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