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27 Giu

Mikko Franck e lo stile nordico di un magnifico direttore

Non è facile trovare un direttore che saltuariamente scende dal podio per continuare a far musica. Simbolo trasparente e palese di maggior democrazia, con una rinuncia a posizionarsi più in alto rispetto ai suoi musicisti (quasi a voler sentir da vicino il suono dai leggìì) Mikko Franck è in questo senso un direttore unico. Nato nel ’79 fra i boschi e i pittoreschi specchi d’acqua finlandesi, si direbbe una bacchetta in crescita nell’arcipelago mondiale. Specie dal 2015, quando dopo il folgorante debutto a Santa Cecilia l’Orchestra romana lo ha voluto come «ospite principale», contendendolo alla Philharmonique de Radio France da cui aveva ereditato l’incarico di Myung-Whun Chung. Esperto (va da sé) di letteratura musicale del Nord, è anche attento a bilanciare le sue uscite nel repertorio sinfonico con una discreta dose di attività lirica. E fra i suoi impegni proprio a Roma spunta in agenda a fine novembre un Requiem’di Verdi, seguito da un Otello alla Wiener Staatsoper nel gennaio del 2020.

Franck, perché questo vezzo di scendere spesso dal podio, rinunciando al narcisismo tipico dei direttori?

«Perché è un modo per comunicare meglio con l’orchestra. Vede, a me il tipico show direttoriale non interessa, mi sta a cuore piuttosto l’idea di aiutare gli orchestrali a suonare nella maniera migliore. Alla fine ciò che conta è la musica e sotto il podio appunto ci si intende a meraviglia. L’esperienza è più simile a quella di una collaborazione cameristica».

Il suo approdo alla bacchetta è stato altrettanto singolare, dopo un incidente ad una gamba (giocando a calcio) che lo ha costretto ad una lunga degenza ospedaliera, inibendo pure i sogni di diventare violinista.

«Sì, ora fortunatamente sto molto meglio, ma da ragazzo ho dovuto subire diverse operazioni e poi nei primi anni, lo stare in piedi per dirigere mi dava problemi alla schiena. Per questo anche adesso, ogni tanto, faccio uso della sedia. E comunque, visto come è andata non mi posso certo lamentare».

Meglio la bacchetta del violino?

«Diciamo che il violino ha fatto da tramite al ruolo di direttore. L’operazione è stata persino un’opportunità per dedicarmi di più a me stesso, avvicinandomi alla musica da un altro punto di vista. Il violino ormai lo suono poco, ma l’uso delle mani mi è rimasto utile per guidare gli orchestrali e i cantanti».

Un po’ di dispiacere per la rinuncia dell’archetto andrà messo nel conto.

«Certo, sin dai 5 anni è stata la mia grande passione e il fatto che i miei mi abbiano dato la possibilità di suonarlo è stato fantastico. Suonavo tutti i giorni, anche quando gli amici stavano fuori a giocare, senza particolari frustrazioni e spirito di sacrificio. Poi appunto l’esperienza sull’arco è diventata utile. È quasi impossibile dirigere bene un’orchestra, se prima non ci hai messo dentro almeno il naso come strumentista di fila».

La sua attività oggi sembra più spostata verso il sinfonismo, anche se il teatro lirico non manca mai.

«E’ vero, quando sono entrato in carriera ho pensato che l’ideale fosse mantenere un buon equilibrio tra sinfonia e opera. Cosa che cerco sempre di fare, almeno con un paio di produzioni l’anno. Nel 2020 mi attendono Otello e poi una Salome, ma in mezzo ci sono tanti impegni in campo concertistico».

Però il suo catalogo discografico non è uno dei più nutriti: solo la «Patetica» di Ciaikovskij (cavallo di battaglia del suo repertorio), l’immancabile Sibelius e tante opere del contemporaneo finlandese Einojuhani Rautavaara, morto nel 2016, che lei esegue di frequente anche dal vivo. Come mai questa riluttanza ad entrare in sala d’incisione?

«Non saprei, ma adesso sto cercando di rimediare. In questi giorni sto lavorando con la Philharmonique de Radio France e nei prossimi anni usciranno due registrazioni. Non so ancora esattamente su cosa, ma è un progetto interessante, di cui non voglio svelare i dettagli perché una volta visti i risultati dei singoli brani decideremo cosa pubblicare».

Come sta procedendo la sua avventura romana?

«Benissimo direi, visto che conosco sempre meglio orchestrali e coristi. Ho appena fatto una strepitosa Seconda di Mahler e sono davvero entusiasta di come hanno reagito l’orchestra e il coro. Il bello di lavorare con loro è il rapporto di continuità che dà ottimi risultati, mentre se l’attività è di tanti ‘mordi e fuggi’ rischi ogni volta di ricominciare tutto da capo. E loro riescono sempre a dare il meglio».

In autunno ci sarà la Messa da Requiem di Verdi. Come si prepara a scavare all’interno di questa partitura?

«Con l’approccio di sempre, cercando le intenzioni profonde del compositore dopo aver studiato bene la partitura. So benissimo che è un pezzo speciale e quando mi troverò davanti l’orchestra, il coro, i solisti (e dietro di me il pubblico) mi verranno in mente certamente altre idee per trasmettere l’emozione di questo Verdi sublime».

Contento per la scelta del cast?

«Certo, li conosco e li apprezzo tutti uno per uno da Eleonora Buratto a Ekaterina Semenchuk, René Barbera e Dmitry Belosselskiy. Tutte splendide voci, sono felice che facciano parte di questa produzione».

Adesso però arrivano le vacanze. Le passerà come sempre sul suo autobus turistico?

«Sì, ho bisogno di staccare la spina. Anni fa mi sono fatto restaurare questo pulmino turistico, per girare in lungo e in largo l’Europa. Ha la bellezza di 12 metri e l’ho adattato a camper con cucina salotto, camera da letto, bagno con doccia. C’è proprio tutto, non manca niente»

Uno strumento di libertà.

«Appunto, che mi permette di viaggiare soprattutto al Nord (specie nella mia amata Finlandia) quasi senza una meta. Spesso quando mi sveglio non so nemmeno dove dormirò la notte dopo, tranne che certamente in un bosco o in riva al lago. Tutto questo per me è importante, nel resto dell’anno l’agenda è fittissima di impegni,  prove, concerti e incontri di lavoro».

La cucina non manca, da quel cuoco provetto che è.

«Cucinare è un’attività perfetta, per rilassarmi quando ho un po’ di tempo libero. Mi piace farlo per gli amici, ovviamente, ma anche per me stesso. E anzi, devo dire che stare a Roma è stata un’opportunità anche per conoscere nuove prelibatezze, e prepararle».

Ma il furgone avrà anche pure un impianto stereo.

«Certo, ma ci ascolto soprattutto jazz e pop-rock, mi dà più l’idea della vacanza. E poi se dovessi mettere un disco di classica mi verrebbe da muovere le mani, con il rischio di fare un incidente».

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