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5 Lug

Intervista a Sir Antonio Pappano: sogno di avere più tempo per me

Energico, instancabile e appassionato. Sir Antonio Pappano, nato a Londra da genitori italiani, è dal 2005 Direttore Musicale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Dal padre eredita l’amore per la musica operistica. Inizia come accompagnatore al pianoforte di cantanti per essere poi travolto da una brillante carriera di direttore d’orchestra. Dapprima direttore più giovane delle orchestre della londinese Royal Opera House vive poi, nel 1999, l’esperienza di assistente di Daniel Barenboim al Festival di Bayreuth. Nel 1990 è Direttore Musicale della Den Norske Opera, a Oslo, nel 1992 del teatro La Monnaie/De Munt di Bruxelles e nel 2002 del Royal Opera House (Covent Garden). Si divide tra le due istituzioni, londinese e romana, dedicandosi al repertorio operistico e sinfonico. Dirige inoltre regolarmente celebri compagini orchestrali tra cui la London Symphony Orchestra, la Cleveland Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, la Berlin Philharmonic Orchestra e la Royal Concertgebouw Orchestra. Diversi i riconoscimenti che gli vengono assegnati: nel 2010 riceve il Premio Vittorio De Sica per la musica dalle mani del Presidente Giorgio Napolitano al Quirinale, nel 2008 è commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e dal 2012 è promosso Cavaliere di Gran Croce. E, ancora, nel 2012 è nominato Cavaliere (Knight Bachelor) dalla regina Elisabetta II e nel 2013 riceve l’International Opera Awards. La sua figura è associata ai successi dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Italia e nelle varie tournées all’estero. Lo incontro al Teatro Valli di Reggio Emilia, lo scorso 29 maggio, dopo un concerto alla guida della Chamber Orchestra of Europe, solista la straordinaria violinista di origine olandese Janine Jansen.

Antonio Pappano, foto di Sheila Rock per EMI Classics

La musica ha sempre fatto parte della sua vita, respirata in casa dal padre appassionato di opera, ma quando ha capito che la direzione d’orchestra sarebbe stata la sua “strada”?

«La direzione d’orchestra è arrivata nella mia vita più tardi. Non avevo quella grande ambizione che altri hanno, ero contento di suonare il pianoforte e fare il maestro sostituto. La spinta è arrivata da alcuni cantanti con cui collaboravo: sono stati loro a creare le occasioni per le prime esperienze. Solo poi ho capito che potevo lavorare con le orchestre come con i cantanti».

Cosa significa per un figlio di emigrati italiani a Londra essere dal 2005 Direttore Musicale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la maggiore istituzione sinfonica italiana?

«Sono prima di tutto nato in Inghilterra da genitori italiani poi divenuto direttore musicale del Covent Garden e dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Con questi incarichi ho trovato un equilibrio tra l’opera e la musica sinfonica e poter stare in due luoghi come Londra e Roma è molto importante per me, entrambi fanno parte della mia storia personale».

Tra le sue esperienze di inizio carriera è stato assistente di Daniel Barenboim al Festival di Bayreuth, cosa ha significato per lei questo incontro?

«È stato fondamentale per molte ragioni. Perché confrontarsi con la musica di Wagner significa confrontarsi con un gigante che ha cambiato la storia della musica per quel che riguarda lo sviluppo armonico, la psicologia dei caratteri, l’orchestrazione, e in generale la musica stessa, ma anche perché il rapporto con Barenboim è stato quello con un grande musicista. Una grande responsabilità che mi ha consentito di crescere e osservare e apprendere il suo modo di spiegare la musica».

Nel 1999 è nominato Direttore Musicale della Royal Opera House (Covent Garden) e qualche anno dopo lo è per l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Quali macroscopiche differenze ha rilevato nel ricoprire questo medesimo ruolo per due istituzioni tanto importanti, una italiana e l’altra britannica?

«In un caso mi occupo di sinfonica nell’altro di lirica e le differenze sono enormi proprio nella struttura delle due. Quella londinese è più complessa, c’è anche il balletto e la sopravvivenza dei due enti è stata non facile per ragioni sia politiche che finanziarie. Oggi la necessità prevalente è quella di stimolare un pubblico già molto stimolato per programmazione e concorrenza dei media. Con Londra viaggio molto poco, in media ogni 5 anni – ora ci attende una tournée in Giappone – mentre con Santa Cecilia le tournée sono frequenti ed è molto importante sia per me che per l’orchestra essere ambasciatori dell’Italia nel mondo».

Come vede un artista del suo calibro, protagonista della vita musicale internazionale, la situazione musicale italiana?

«Trovo che ci sia davvero tanto talento in Italia e sono così fiero dell’orchestra! Un insieme di musicisti di enorme talento che trovo rassicurante, nonostante politicamente sia talvolta difficile spiegare l’importanza della nostra sopravvivenza. Questo è un aspetto stancante e, in qualche misura, frustrante. Rilevo un’attenzione particolare per il successo che otteniamo nelle tournées all’estero. E “in casa” cerchiamo di coltivare il rapporto con il pubblico come fosse la priorità, dando a loro in ogni programma la nostra energia al 100%. Mentalmente, fisicamente ma soprattutto con il cuore e con l’anima».

Nel suo periodo formativo ha avuto qualche grande riferimento tra i celebri direttori d’orchestra del passato?

«Tutti hanno sentito i dischi di Toscanini, Kleiber, Karajan, De Sabata, Furtwaengler o di altri che in Italia hanno segnato la storia della musica come Giulini, Abbado e Muti. Ma quello che sempre mi ha affascinato dei direttori del passato era l’ambiente in cui operavano: Toscanini, per esempio, conosceva Verdi. Sono certamente importanti fonti di ispirazione».

Lavora regolarmente con le più celebri compagini orchestrali internazionali: se dovesse sottolineare caratteristiche che apprezza particolarmente? E in quali le ritrova in particolare?

«Lotto costantemente per affermare l’idea che non sia solo il direttore che fa suonare bene l’orchestra. Anzi, quest’ultima non deve mai scendere sotto un certo livello per la sua storia, per l’esperienza, per fierezza, tradizione e professionalità. Deve mantenere, insomma, il suo livello a prescindere da chi si trovi sul podio».

Ha diretto alcuni tra i più celebri solisti del panorama classico internazionale: un episodio che ricorda con piacere?

«Lavoro tanto con grandi cantanti come Placido Domingo o Giuseppe Giacomini, con cui feci il primo Otello. Ma non dimenticherò mai l’esperienza con Domingo in Valchiria o Boccanegra, così come il pianoforte della Argerich e Pollini, il violino della Jansen e della Lisa Batiashvili…»

Continua a coltivare la sua seconda veste, quella pianistica: come riesce a conciliare queste due anime e una vita “con la valigia”?

«Non suono tanto ma cerco di mantenere il rapporto con uno strumento, con il come si produce il suono. Vengo da lì, è la mia natura e la mia sostanza».

Ha deciso di concedersi un anno sabbatico: come mai questa scelta?

«L’anno di pausa si riferisce unicamente al mio impegno per il 2020/2021 con la Royal Opera House – Covent Garden ma in quell’anno continuerò a dirigere: ho impegni previsti con la Scala, il Metropolitan a New York, la Staatsoper a Berlino e con i contatti romani. E lavorerò di più con i giovani, per spiegare loro come la musica può e deve emozionare».

Suggerimenti per giovani aspiranti direttori d’orchestra che guardano a lei come esempio?

«Credo sia importante essere studiosi, in questo mestiere la preparazione è tutto. Occorre soprattutto imparare come imparare – partendo dall’essenziale per poi giungere ai dettagli – e conoscere bene la struttura armonica. Saper ascoltare i musicisti, i cantanti e i solisti in genere e trarre ispirazione dal loro talento».

E, per concludere, nonostante la sua sia una carriera già ricchissima, ha ancora qualche sogno nel cassetto da realizzare?

«Sogno di avere più tempo per me, francamente. Sento il bisogno di più silenzio e di momenti di riflessione ma sono certamente fortunato per le tante opportunità che mi si presentano nella lirica, nella sinfonica e nell’educational. L’orizzonte è vasto e sono “goloso” di opportunità, fa parte del mio carattere. Per me è difficile rallentare ma, ripeto, sto iniziando a capire anche l’importanza del silenzio».

 

In copertina:  Sir Antonio Pappano, foto di Musacchio & Ianniello per EMI Classics

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