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29 Dic

Anna Maria Sarra: nulla mi dà felicità quanto il canto

Entusiasta, volitiva e sognante. Il soprano Anna Maria Sarra raccoglie i frutti del recente successo come Marzelline al Teatro Comunale di Bologna e si prepara per i prossimi impegni che la vedranno calcare le scene di alcuni tra i più rilevanti templi della lirica. Studi di canto al Conservatorio E. R. Duni di Matera, dove si diploma con massimo dei voti, lode e menzione d’onore, poi il perfezionamento alla Scuola dell’Opera di Bologna con Renata Scotto, all’Accademia di Santa Cecilia con Anna Vandi e all’Accademia Rossinana di Pesaro sotto la guida di Alberto Zedda. Vincitrice di concorsi, tra cui l’International Singing Competition for Baroque Opera “Pietro Antonio Cesti” di Innsbruck, ha collaborato con direttori come Claudio Scimone, Michele Mariotti, Jonathan Webb, Ottavio Dantone, Donato Renzetti e registi come Filippo Crivelli, Damiano Michieletto, Henning Brockhaus ed Emma Dante. Recentemente ha interpretato Adina ne L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti al Teatro Carlo Felice di Genova; ha inoltre debuttato al Teatro La Fenice ne Les quatre chansons Francaises di Benjamin Britten, e successivamente Pamina nel Die Zauberflöte di W.A. Mozart. E, dal 15 al 24 marzo, sarà Oscar in Un ballo in Maschera al Teatro Carlo Felice di Genova con la regia di Leo Nucci.

Come nasce l’amore per il canto lirico e quando capisce di poterne fare la sua professione?

«Si tratta di un amore nato fin da bambina e posso dire di avere sempre saputo che avrei cantato. Forse perché ho sempre percepito il canto come la più grande fonte di gioia. Lo studio vero e proprio del canto lirico è però iniziato intorno ai 14 anni. Una passione ereditata dai nonni, in particolare da quando regalarono un cd di Maria Callas a mia madre… Scoprii di avere una voce graziosa e da lì iniziò tutto ma posso dire di avere capito che il canto sarebbe stato “per la vita” a 19 anni, dopo l’esperienza dell’Opera Studio con Renata Scotto».

Marzelline (Fidelio), Teatro Comunale di Bologna, © Rocco Casaluci

Ha recentemente interpretato il ruolo di Marzelline nel Fidelio: come e quando decide di dedicarsi al repertorio tedesco?

«Purtroppo non mi è avvenuto di poterlo fare prevalentemente: mi piacerebbe e vorrei ma è difficile per una cantante italiana sia per questioni culturali che linguistiche. Sono comunque felice di avere già in programma un altro Fidelio per il prossimo anno, dall’altra parte del mondo».

Mostri sacri che hanno ispirato il suo processo formativo?

«Se penso a Traviata, certamente la Callas, che ritengo il più grande soprano del secolo scorso. Ma anche Anna Moffo, altra icona del passato. Poi, direi Renata Scotto, incontrata circa 10 anni fa – era il 2007 e avevo 19 anni – nel contesto di Opera Studio. E, infine, Mariella Devia, mia guida ancora oggi».

Coraline (Le toréador), Teatro Massimo di Palermo, © Franco Lannino

Personalità del mondo della lirica a cui può dirsi in qualche misura grata?

«Francamente non saprei, sono tante le personalità di rilievo incontrate che hanno contribuito a determinare il mio processo di crescita. Ecco, forse citerei ancora una volta Mariella Devia, nonostante si tratti di una conoscenza piuttosto recente».

Quali i ruoli che veste con maggiore disinvoltura e in che modo rispondono in termini di omogeneità al suo essere?

«Ho sempre avuto una predisposizione particolare per il palcoscenico, mi piace recitare e, devo ammettere mio malgrado, che i ruoli in cui riesco meglio sono quelli più lontani dal mio essere e dalla mia personalità. L’Armida nel Rinaldo è l’interpretazione che mi ha segnato maggiormente, nonostante non si tratti di un personaggio positivo né buono. Ma vesto con disinvoltura anche ruoli en travesti: ogni volta che sono Oscar, per esempio, sono soddisfazioni. Lo sarò a Genova e ho già vissuto l’esperienza a Palermo, al San Carlo e in Francia. E la mia voce è particolarmente adatta al belcanto e al repertorio dell’’800, a personaggi come Amina, Adina, Gilda o a un certo Rossini».

Come vive invece la scelta di affrontare personaggi molto diversi dal suo essere, cattivi per esempio.

Armida (Rinaldo), Teatro Ponchielli di Cremona, © Alessia Santambrogio

«In genere per me non si tratta di una sfida ma di uno stimolo e di un modo per sperimentare. Una via per poter fare ed essere sul palco ciò che nella vita non faresti o non sei».

Un’esperienza professionale che ricorda con particolare piacere?

«L’anno scorso sono stata in tournée con l’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone per Rinaldo; poi ricordo con piacere il Guglielmo Tell al Teatro Massimo di Palermo e il Flauto Magico alla Fenice. Sono state esperienze che mi hanno indotto a capire che il lavoro che facevo andava nella direzione giusta; queste condizioni musicali e registiche mi hanno portato ad interpretare i personaggi più adatti a me. Ma penso che, in generale, ogni opera lasci un seme in noi».

Come è cambiata, a suo avviso, la figura del soprano? E quanto incide il mercato in questo cambiamento?

«Ho debuttato nel 2008 ne L’occasione fa il ladro di Rossini a Savona. Il mercato è crudele, molto veloce e competitivo e ogni anno percepisco tutti più agguerriti. Essere eclettica e duttile, affrontare diversi repertori e lingue diverse mi aiuta certamente a ricavare una fetta di mercato anche per me. Immagino che se interpretassi Lucia di Lammermoor desterebbe sicuramente stupore perché ho sempre interpretato tutt’altro, ma credo che anche i ruoli del grande repertorio arriveranno. Intanto i punti di forza sono lo studio e la preparazione, sta poi a noi indurre gli altri a darci fiducia. Per il resto non mi sento molto soprano nell’accezione più comune del termine e in più di dieci anni in cui svolgo questa professione ho sempre cercato di mantenere fede alla mia personalità. Di mantenere ben salde la mia identità e le mie passioni».

Sulla necessità di sapere essere “cantattori”: è sempre maggiore l’attenzione alla presenza scenica nel tempo dell’immagine. Rimpiange modelli vocali che prescindevano da questo?

«Non credo che si possa parlare di vocalità vs capacità attoriale. Per quanto mi riguarda ho sempre amato recitare e sono fermamente convinta che nell’opera lirica contino voce e capacità vocale ma che anche la lettura del personaggio abbia la sua grande rilevanza. Insomma, sposo totalmente la moderna concezione di opera e mi piacerebbe che i cantanti lirici facessero tutti training come quelli del musical; che ci fosse una solida base riferibile all’aspetto interpretativo attoriale, mentre in Italia non è ancora molto frequente. Io ho tratto giovamento in questo senso dal periodo formativo della Scuola dell’Opera ed è impensabile che un cantante si limiti a curare l’aspetto “canto”. I grandi soprani sono veri e propri animali da palcoscenico, esattamente come la Netrebko o la Damrau».

Se dovesse in poche parole descrivere il suo essere “soprano”?

«Mi sentirei di affermare che il mio essere cantante equivale semplicemente al mio essere Anna Maria Sarra, ossia alla mia personalità. Non potrei essere più grata per la voce che ho e per come sono. Credo di essere profondamente innamorata della voce, in particolare della mia e della mia persona. La mia voce è totale espressione della mia sincerità di persona e di artista e l’emozione è davvero tutto nella mia vita. Nulla mi dà felicità quanto il canto. Vivo una vita fatta di emozioni, belle e meno belle ma sempre vissute davvero intensamente».

Sogni che terrebbe particolarmente a vedere realizzati?

«Davvero tantissimi: cantare determinati repertori, Strauss, grandi opere e personaggi verso cui sono particolarmente attratta come Amina o Lulu di Berg. Fino a qualche anno fa il mio sogno era poter interpretare il ruolo di Oscar ed ora questo sogno è in piccola parte realizzato. Adesso, si, direi che aspetto di poter essere Amina e Sophie nel Rosenkavalier. È questa la direzione in cui mi porta ora la mia passione musicale».

(I ritratti di Anna Maria Sarra sono di Andrea Chemelli)

Euridice (Orfeo di Porpora), Festival della Valle d’Itria, © Clarissa Lapolla

Oscar (Un ballo in maschera), Teatro San Carlo di Napoli, © Francesco Squeglia

Norina (Don Pasquale), Teatro Massimo di Palermo, © Rosellina Garbo

 

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