TOP
4 Mag

Artista della Settimana. Francesco Meli!

Francesco Meli, «il» tenore italiano, parla sui social con orgoglio e tenerezza dei suoi vent’anni all’opera e soprattutto dei suoi diciotto anni alla Scala che egli definisce la sua seconda casa, perché è il teatro dove ha cantato di più e che gli ha offerto straordinarie produzioni, assecondando un percorso artistico che lo ha portato negli anni a rivestire i ruoli da protagonista di tante opere verdiane (oltre che un applaudito Cavaradossi nella Tosca inaugurale della stagione 2019/2020).

Francesco Meli © Simone Falcetta

Tutto è cominciato nel 2004 con i Dialogues des Carmélites sotto la direzione di Riccardo Muti e con la regia di Robert Carsen. Dopo, sono arrivati Otello (Cassio), Idomeneo, Don Giovanni, Maria Stuarda, Der Rosenkavalier, Carmen, Giovanna d’Arco, I due Foscari, Don Carlo, La traviata, Ernani, la già citata Tosca, Il trovatore, Aida, L’elisir d’amore (lo scorso novembre, recita inaspettata che ha fatto conoscere anche ai milanesi uno dei migliori Nemorino degli ultimi tempi), Macbeth. In mezzo, due capolavori sinfonico-corali come La petite Messe di Rossini e il Requiem di Verdi (alla Scala e nei Duomi di Milano, Brescia e Bergamo sempre con l’orchestra e il coro del teatro milanese), L’Inno delle Nazioni di Verdi e vari altri concerti. In questi vent’anni ha collaborato con registi e colleghi di fama internazionale, soprattutto con direttori che cita a uno a uno: dopo Muti, Chailly, Chung, Harding, Santi, Armiliato, Luisotti, Fisher, Mariotti, Fogliani, Caetani, Dudamel, Zanetti, Gamba e Jordan.

Stasera Meli festeggia alla grande il ventesimo ruolo al Teatro alla Scala – Riccardo, in Un ballo in maschera – e, preciso com’è, ci tiene a sottolineare questa gragnuola di ricorrenze e record che sembrano essersi concentrati tutti quest’anno. Sì, perché c’è un altro anniversario non meno importante, i diciotto anni di amore con la moglie Serena Gamberoni.

Mi pare che, inequivocabilmente, sia lui l’artista della settimana.

Ci siamo incontrati, abbiamo chiacchierato e gli ho posto qualche domanda per questa rubrica che da oggi mi è stata affidata da PressRoom.

Francesco Meli, Riccardo in Un ballo in maschera, Teatro alla Scala 2022 © Brescia e Amisano

In quale momento della sua carriera ha iniziato a percepirsi come artista?
«Un cantante è un artista fin dal principio della sua carriera di studio, ogni volta che un musicista inizia a studiare, che sia la tecnica o uno spartito nuovo, crea qualcosa che è poi arte. Ovviamente nel corso degli anni di carriera questa coscienza di essere artisti aumenta e diventa sempre più importante. Penso che fin dall’inizio del mio percorso in teatro mi sia sentito un artista, creatore di qualcosa, e questo lo devo alle grandi esperienze che, fin dal primo giorno di professione, mi hanno permesso di crescere proprio artisticamente».

Dove sta andando lopera lirica?
«L’opera lirica è un mondo che non avrà mai fine, il connubio fra musica, parola, recitazione è troppo forte e imponente perché possa estinguersi. Sicuramente attraversa momenti di crisi, considerata come un’arte antica a impolverata. Oggi è diventata uno spettacolo culturale e spesso sociale che ci permette di osservarci dalle poltrone della platea negli abiti e nelle vicende dei personaggi che vivono sul palco. Questa è sicuramente la strada che l’opera deve intraprendere, alla fine è sempre stata questa ma ce ne siamo dimenticati. L’ opera è moderna, attuale nei contenuti, i personaggi così travagliati e disperati delle opere liriche non sono altro che lo specchio della nostra esistenza piena di sofferenze, dubbi, problemi da affrontare. L’opera può essere una grande scuola di vita».

Alla Scala in Giovanna d’Arco, 2015 / L’elisir d’amore, 2021 / Macbeth, 2021 (© Brescia e Amisano)

Lopera lirica, oltre a regalare al pubblico emozioni straordinarie, può produrre cambiamenti nella società?
«Mi ricollego alla risposta precedente, certo che l’opera può produrre cambiamenti nella società! Lo ha già fatto nel passato, pensiamo all’importanza di Giuseppe Verdi nella nascita dell’Italia come la conosciamo noi. Le opere liriche ci possono, senza mezzi termini e con grande sincerità, farci vedere dove si sbaglia nei rapporti interpersonali o addirittura in quelli politici.
È un mezzo artistico poliedrico che ha enormi possibilità sociali».

Secondo lei c’è qualcosa che minaccia la “sua” arte, in questo caso l’opera?
«La mia arte, che è la musica, è minacciata dalla nostra società, da un impoverimento culturale, da un specie di appiattimento sociale nel quale sedersi per ascoltare e vedere una storia è troppo impegnativo, dura troppo. Meglio una serie su Netflix o una sequela di video, totalmente inutili e impersonali, su un social qualsiasi. Questa è la vera minaccia, la perdita di personalità, non sapersi riconoscere in qualcosa che ci identifica socialmente ma adagiarsi alla “lobotomizzazione” mediatica che ci rende tutti uguali e senza volto».

Francesco Meli in un recital alla Scala, 2017 © Brescia e Amisano

E c’è qualcosa che, al contrario, la esalta?
«Certo che c’è qualcosa che esalta l’opera, o meglio la esalterebbe, ed è la curiosità. Curiosità di scoprire, di entrare in altri mondi per capire se fanno parte di noi oppure no. Un bambino che viene in teatro a vedere un’opera lirica rimane catturato, coinvolto dalla vicenda, questa reazione e questa prospettiva esalta l’opera lirica».

 

Chiudiamo la rubrica con l’ultima canzone ascoltata dall’artista: “Ho amato tutto” di Tosca.

Nessun Commento

Inserisci un tuo commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.