Paola Mattioli è una delle più icastiche fotografe del nostro paese, pioniera della fotografia femminista nell’Italia degli Anni ‘70.
Il ritratto, l’interrogazione sul vedere, il linguaggio, la differenza femminile, le storie grandi e piccole sono i temi che affronta con uno sguardo lontano dal classico reportage, con quella “sottile distanza” che regala valore di autenticità ai suoi lavori fotografici. Del resto il suo percorso fu chiaro sin dagli inizi, anzi sin dagli studi in filosofia fatti con Enzo Paci: in ogni sua ricerca, sin da quelle degli anni giovanili, emerge la costante riflessione intorno al linguaggio fotografico, la domanda sul senso del vedere e del fotografare. Allieva giovanissima di Ugo Mulas, nel corso della sua lunga carriera ha ritratto personaggi famosi del mondo dell’arte e del design, del cinema, del teatro e della musica; il più celebre e intenso rimane quello di Giuseppe Ungaretti, scattato solo 15 giorni prima sua della morte nel 1970. Fu l’ultimo ritratto del grande poeta e fece il giro del mondo.
Oggi apre la mostra Paola Mattioli. Quattro stanze, quattro storie a Villa Carlotta, sul Lago di Como. Saranno presentate 66 foto (60 in bianco e nero e 6 a colori) realizzate dal 1970 al 2019. E, come suggerisce il titolo, l’esposizione sarà scandita da quattro stanze della villa: Fiori per… (un commosso omaggio alla rimembranza), Mattioli/Mondino (oggetti d’affezione, opere d’arte ed album d’appunti), Statuine (omaggio alla bellezza che attraverso la fissità scultorea oltrepassa il tempo), Ritratti (personaggi famosi del mondo dell’arte e del design).
L’ho sentita qualche giorno fa, in occasione di questa sua personale; è lei, Paola Mattioli, la nostra “Artista della Settimana”.
In quale momento della sua carriera ha iniziato a percepirsi come artista?
«Quando ho incontrato la profondità espressiva di Ugo Mulas ho capito che la fotografia era un mezzo per leggere la realtà ogni volta da un punto di vista diverso».
Dove sta andando la fotografia?
«Il confronto tra analogico e digitale è un falso problema. Sono le idee, la fantasia, l’originalità della ricerca che estende le potenzialità del mezzo tecnico alle proprie esigenze, a rendere unica una immagine rispetto a un’altra».
La fotografia, oltre a regalare al pubblico emozioni straordinarie, può produrre cambiamenti nella società?
«La fotografia può essere la testimonianza di eventi lontani dell’attenzione dei mass media, come le guerre, le carestie, le calamità naturali, i mutamenti climatici. Ogni scatto diviene una presa di posizione politica e sociale verso i grandi e i piccoli temi che coinvolgono la storia della nostra contemporaneità».
Secondo lei c’è qualcosa che minaccia la “sua” arte, in questo caso la fotografia?
«La banalità, l’omologazione, il conformismo sono modalità da tenere lontane se crediamo che la fotografia possa essere un mezzo espressivo capace di trasmettere contenuti».
E c’è qualcosa che, al contrario, la esalta?
«La fantasia, l’originalità e l’autenticità accentuano le idee, un patrimonio prezioso con cui comprendere, attraverso l’immagine, le realtà che stiamo vivendo».
Come sempre, mi piace chiedere a queste persone speciali che sono i nostri artisti della settimana l’ultimo brano che hanno ascoltato. Paola Mattioli mi spiazza e risponde senza esitazione: il “Notturno op. 9 n. 2” di Chopin eseguito da Daniel Barenboim. L’ho riascoltato subito anch’io e all’improvviso ho capito perché le persone forti e che hanno molto da dire non temono la tenerezza.
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