Dall’8 dicembre Lucca ospita negli spazi della Cavallerizza di Piazzale Verdi una mostra impossibile, capace di raccontare, attraverso alcuni capolavori del Seicento, il ruolo della luce nella pittura da Caravaggio, il primo regista della storia dell’arte, fino a Pietro Paolini, protagonista lucchese delle più importanti tematiche estetiche della nuova scuola naturalistica.
«La mostra parte dalla rivoluzione di Caravaggio, indiziaria, con la presenza di un’opera assai notevole come il Cavadenti, sulla quale, per taglio e genere, sicuramente Paolini dovette riflettere, testimoniando la più integrale coerenza tra i pittori di luce». Vittorio Sgarbi
Circa 100 opere – provenienti da musei italiani e esteri, dalle Diocesi, oltre che da prestigiose collezioni private e internazionali –dei numerosi pittori che, per tutta la vita, hanno inseguito Caravaggio, lo hanno incontrato, qualcuno forse superato, o addirittura per certi aspetti anticipato. Sono i luministi, chiamati qui “i Pittori della Luce”, perché in tutte le loro opere è la luce la vera protagonista. Viva, imprescindibile, innovativa.
Caravaggio è così grande perché tutto, nei suoi dipinti, dalla luce al taglio della composizione, fa pensare a un’arte che riconosciamo, a un calco di sensibilità ed esperienze che non sono quelle del Seicento ma quelle di ogni secolo in cui sia stato presente e centrale l’uomo.
In mostra si possono ammirare tre momenti fondamentali della sua produzione artistica. Il primo, per cronologia, è il Ragazzo che monda un frutto, un’opera giovanile, intima, pura, riempita di luce soffice e rassicurante, dipinta durante il suo esordio romano, alla metà degli anni novanta del Cinquecento. Siamo nella prima stanza del percorso espositivo, e ci troviamo di fronte all’immagine più importante del Caravaggio maturo: il Seppellimento di Santa Lucia, appartenente al FEC, un’opera cardine, realizzata dopo l’evasione dal carcere di Malta e l’arrivo a Siracusa come pala per l’altare maggiore della basilica di Santa Lucia al Sepolcro, nel sito dove, secondo la tradizione, la santa fu martirizzata e sepolta. A fianco, un dipinto notevole, proveniente dalle Gallerie degli Uffizi e concesso in mostra fino a marzo: Il Cavadenti, che rappresenta a pieno la rivoluzione di Caravaggio e testimonia il legame con l’arte di Pietro Paolini (Lucca, 1603 – 1681).
Paolini vede le opere di Caravaggio e ritorna a Lucca, portando una serie di novità pittoriche. E Con lui altri toscani, i quali si distinguono per l’utilizzo della luce in cupi notturni: Baccio Ciarpi (Barga,1574 – Roma,1654), Paolo Biancucci (Lucca, 1596 – 1650), Orazio Riminaldi (Pisa,1593 – 1630), Rutilio Manetti (Siena, 1571 – 1639), Francesco Rustici detto il Rustichino (Siena, 1592 – 1626), Simone del Tintore (Lucca, 1630 – 1708), Giovanni Coli (San Quirico di Valleriana, 1636 – Lucca, 1681) e Filippo Gherardi (Lucca, 1643 – 1704), Girolamo Scaglia (Lucca, 1620 ca. – 1686), Pietro Sigismondi (Lucca? – Roma,1623), Paolo Guidotti detto il Cavalier Borghese (Lucca,1569 – Roma,1629) Antiveduto Gramatica (Siena,1571 – Roma,1626) Giovan Domenico Lombardi (Lucca, 1682 – 1751) e infine Pietro Ricchi detto il Lucchese (Lucca, 1606 – Udine, 1675). Anche nel caso di Ricchi la lezione di Paolini, virata in effetti speciali, deriva da uno spunto caravaggesco, tutto giocato sulla luce di candele, a partire dalla fiaccola delle Sette Opere di Misericordia di Caravaggio, attraverso il modello di Trophime Bigot (Alrles, 1579 – Avignone, 1650) spericolato sperimentatore di mirabili effetti di controluce, certamente stupefacenti.
Degno di menzione è Orazio Gentileschi (Pisa, 1563 – Londra,1639), considerato tra i più importanti caravaggeschi toscani, in mostra con una inedita e raffinata Madonna con bambino ai primi passi. Attraverso le contaminazioni di Caravaggio nell’arte romana, troviamo autori come Giovanni Baglione (Roma,1566 – 1643), Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino (Roma,1585–1652), Bartolomeo Manfredi (Ostiano, 1582 – Roma, 1622), e Giovanni Francesco Guerrieri (Fossombrone, 1589 – Pesaro,1657), nel quale sono evidenti affinità di composizione con la produzione di Paolini.
L’ultimo Caravaggio è tutto a luce artificiale. La prima risposta a queste ambientazioni notturne viene da Pieter Paul Rubens (Siegen,1577 – Anversa,1640) a Roma, quando, nel 1609, dipinge la sua Adorazione dei Pastori per la Chiesa dei Filippini di Fermo. Una prova virtuosistica di effetti speciali, dove il bambino è come un bozzolo di luce al neon che irradia sui personaggi circostanti.
Dopo la morte di Caravaggio, nel 1610, lo spagnolo Jusepe de Ribera (Jàtiva, 1591 – Napoli, 1652) e il francese Valentin de Boulogne (Coulommiers, 1591 – Roma, 1632) sono i due più importanti protagonisti della pittura naturalista a Roma. A differenza di Ribera, che nel 1616 si stabilisce a Napoli, all’epoca sotto la dominazione spagnola, l’intera carriera di Valentin si svolge a Roma. L’artista francese si muove con tutta agilità tra i soggetti affrontati dal maestro, con risultati sorprendenti e innovativi soprattutto per l’invenzione una luce strisciante e uniforme, dai riflessi perlacei. È il pittore a cui Paolini stesso si avvicina di più stilisticamente e concettualmente.
Le atmosfere caravaggesche permeano anche le tele di Battistello Caracciolo (Napoli, 1578 – 1635), la cui produzione è pregna di effetti luminosi in termini radicali, e quelle di Mattia Preti (Taverna, 1613 – La Valletta, 1699), quest’ultimo condivide con Paolini una sorta di fuga dalla realtà in favore di una rappresentazione di carattere teatrale con notevoli effetti scenografici.
Significativi gli influssi di Caravaggio in artisti del calibro di Alessandro Turchi detto l’Orbetto (Verona ,1578 – Roma,1649), Giovanni Serodine (Ascona, 1600 – Roma, 1631), Matthias Stomer (Amersfoort,1600 circa – Sicilia, dopo il 1650).
In mostra anche le opere di: Giovanni Lanfranco (Parma,1582 – Roma,1647), Maestro dei Vignaioli (attivo a Roma (?) durante il secondo e il terzo decennio del XVII secolo), Angelo Caroselli (Roma, 1585 – 1652), Pseudo Caroselli (attivo a Roma nella prima metà del XVII secolo), Pietro Della Vecchia (Venezia, 1603 – Vicenza, 1678), Antonio Gherardi (Rieti, 1638 – Roma, 1702).
Il colpo di scena è sull’allestimento, con le maestose sculture di Cesare Inzerillo e Marilena Manzella che emergono dal buio delle pareti in stretto dialogo con i dipinti dei quali ne ricordano dettagli ingigantiti. Un Sudario, consumato di dolore, a ricordare la passione dei martiri e del Cristo. Una Pera, oltremodo matura, confusa fra le nature morte dei trionfali banchetti seicenteschi. Una Viola, muta, dinanzi al Concerto di Paolini e ai suoi cantori. Infine un Candelabro, che sta per caderesul passante, il quale forse potrà, incuriosito, distogliere lo sguardo dai lampi di luce di Pietro Ricchi. Autentiche presenze, oltre la scultura e al di là della materia, volumi e ombre ideali, in perfetto equilibrio tra dramma e ironia, morte e vita.
Ad animare le stanze le musiche originali di Lello Analfino, autentiche poesie sonore costruite, registrate, composte, immaginate, desiderate. Certamente udite da questi autori che ancora si muovono insieme a noi dentro queste stanze.
La mostra, promossa da Regione Toscana e dalla Città di Lucca, è prodotta da Contemplazioni – che ne segue anche la direzione artistica – e vanta la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, della cui collezione espone diverse opere, e di Camera di Commercio Lucca e Lucca Promos.
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