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19 Lug

Inge Morath. La vita e la fotografia.

Forse l’arte di raccontare è un segno distintivo che si acquisisce dal primo momento che si viene al mondo. In alcune società africane (soprattutto nella parte occidentale) si è griot per nascita ed eredità; cioè la propria professione, e missione, è quella di poeta e cantore, conservatore e divulgatore della tradizione orale degli avi. Una figura importantissima nella società, con grandi responsabilità.

Inge Morath, Marilyn Monroe sul set di Misfits (Nevada 1960)

Sicuramente Inge Morath innata aveva la missione e la passione del raccontare, sia attraverso la parola (avendo studiato varie lingue – inglese, francese, rumeno, spagnolo, italiano, russo e cinese -, ed essendo stata un’attenta scrittrice,

avendo tenuto molti diari nella sua vita), ma soprattutto attraverso le immagini scattate nella sua lunga vita. Ed è propria questa ultima arte che la resa famosa.
Per celebrare il suo talento si è aperta qualche settimana fa a Milano (e chiuderà il prossimo 1° novembre), presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini, una mostra a lei dedicata. La retrospettiva si compone di 150 immagini e documenti originali che ricostruiscono la vicenda umana e professionale della fotografa austriaca, che fu la prima donna a entrare nell’agenzia Magnum Photos. L’esposizione, curata da Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl, e Marco Minuz, col supporto del Forum austriaco della cultura, ripercorre il cammino umano e professionale di Inge Morath; partendo dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson, fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, Life, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue. Si possono ammirare le fotografie scattate nei suoi reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina, al punto che il marito, il celebre drammaturgo Arthur Miller, ebbe a ricordare che «non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla».

Inge Morath, A Llama in Times Square (1957)

Nel percorso espositivo della mostra prende spunto da questa sua inclinazione, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, caratteristica prevalente nella tradizione fotografica dell’agenzia Magnum, che aveva (ma ha ancora) una prevalenza nel ritrarre persone nella loro quotidianità. La mostra prosegue con scatti realizzati in Spagna e a Parigi dove, essendo la più giovane associata, dalla Magnum le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali; tuttavia, in queste immagini emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana. Non mancano le sue foto realizzate durante il viaggio in Russia nel 1965 insieme al marito Arthur Miller.
Ampia è la sezione “americana” dove oltre alle opere legate agli scatti “per strada”, si possono vedere i vari ritratti di personalità, come Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, e la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film “Gli spostati” del 1960, lo stesso dove Inge conobbe Arthur Miller che all’epoca era sposato proprio con l’attrice americana. Una sezione della mostra è dedicata ai ritratti “mascherati”, nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta.

Nelle parole del curatore della mostra Marco Minuz si può capire l’essenzialità dell’arte della fotografa austriaca: «Nelle fotografie di Inge Morath – scrive – emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva. Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Il suo lavoro è, come il buon giornalismo, schietto, privo di compassione e ambiguità. Le sue immagini hanno sempre la capacità di non semplificare mai ciò che è complesso, e mai complicare quello che è semplice; sono fortemente descrittive e al contempo fanno trasparire una rara capacità di analisi del contesto con il quale si confrontava».

Un piccolo consiglio: prima di recarvi alla mostra consultate il suo sito per essere sicuri degli orari di apertura.

 

In copertina: Inge Morath, Self-portrait (1958)

 

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