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20 Apr

L’indescrivibile incontro fra le mani di Radu Lupu e il suo pianoforte

Quando lunedì sera a tarda ora ho letto della scomparsa del pianista romeno Radu Lupu ero sul balcone di casa fumando un sigaro. Con quel fumo volava via la fatica di una lunga giornata, i pensieri che sorgono tra le volte della notte e i progetti per il nuovo giorno. “Siamo profondamente rattristati nell’apprendere della morte del maestro Lupu, un caro amico del festival, vincitore nel 1967 del Gran premio del concorso Enescu, un musicista che sapeva trasformare la musica in magia”, hanno scritto da Bucarest gli organizzatori del Festival George Enescu. Il tempo di un altro tiro al sigaro e il nastro della mia vita musicale è andato indietro almeno di vent’anni quando studente del corso superiore di pianoforte in Conservatorio, ascoltai Lupu per la prima volta.

Un viaggio in autobus verso Fermo, organizzato dal Conservatorio di Bari per i suoi studenti di pianoforte. Io tra questi, con due grandi amici che condividevano con me l’amore per la tastiera. L’andata di giorno, il ritorno fissato subito dopo il concerto. I ricordi sono nebulosi come il panorama sul quale si affaccia il mio balcone. Quella sera Lupu suonò la Sonata op. 78 “Fantasia” in sol maggiore di Schubert. Ne sono certo perché quell’ascolto suscitò in me un tale sconvolgimento che decisi di doverlo affrontare. Un misto di bellezza, struggimento, levità, inafferrabilità. Poteva un pezzo di musica tener dentro tutto questo? Come potevano due mani realizzare qualcosa di così apparentemente “altro”? Di quella sera ricordo quella sedia vuota davanti alla tastiera prima del concerto, perché Radu Lupu non utilizzava uno sgabello, e il suo autografo sul programma. Aveva una lunga fila di persone che attendeva sulla porta del camerino. Io in coda con i miei amici. Il lieve mal di pancia che mi accompagna quando devo fare qualcosa di importante e poi in un attimo la sua possente figura che appare sulla porta. Uno sguardo severo reso ancor più arcano da barba e capelli folti. L’abito total black e la sua presenza statuaria. Era molto affaticato: barba e capelli solcati dal sudore e il viso che tradiva qualche smorfia di fatica. Mi sentivo un nano di fronte a un gigante. Ebbi la forza di dire solo un “grazie” e rientrare in Puglia con il mio mondo musicale sconvolto e la certezza di voler suonare quella Sonata di Schubert al mio esame finale di Pianoforte.

Negli anni ho avuto la fortuna di ascoltare Lupu diverse volte in recital solistici, con l’orchestra e una volta in un concerto di musica da camera. La costante delle sue esecuzioni era il suono: la chiarezza delle linee musicali, la capacità di una gamma sonora inesauribile che si esaltava dal piano in giù. E’ complesso descrivere l’incontro tra le mani di Lupu e la tastiera. Pochi gesti, ancor meno gesti spettacolari. Nessun movimento particolarmente fastidioso del viso o del corpo. Un unicum nell’isterico mondo della classica fatto di tanti orpelli, vanità. Gustosi alcuni suoi aneddoti. Uno di questi lo racconta la pianista Mitsuko Uchida. Invitato nel 2008 a visitare il “Marlboro College”, Lupu declina l’invito dell’amica pianista dicendole: “Mi commuove molto sapere che ci sono persone che suonano tutto il giorno, ma preferisco non venire. Mitsuko – disse –, non mi piace la musica quanto te”.

Nei suoi recital spesso proponeva come bis gli Intermezzi op. 117 e i “Klavierstücke” op. 118 e 119. Miniature pianistiche che Lupu suonava molto lentamente, producendo un’ipnosi collettiva dalla quale non ci si voleva più svegliare. La descrizione di un mondo perfetto dove tutti potevano trovare compimento, soddisfazione dei propri desideri e nessun turbamento. Amava giocare con il silenzio, portandolo alle estreme conseguenze. Una sorta di sfida al vuoto, al nulla, che nella vita come nella musica, tutti ricusano. Lui lo guardava negli occhi e da quel silenzio sorgeva e tramontava il suono. Lupu poteva attraversarlo (introducendo anche noi) grazie alla potenza evocativa del suo pensiero musicale. Un universo che da oggi manca. Mi manca.

 

Mario Leone

Da Il Foglio

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