A trent’anni di distanza dall’ultima mostra sulla sua opera, Palazzo Ducale rende omaggio a Rubaldo Merello esponendo 65 suoi dipinti inseriti nel più ampio contesto della stagione divisionista ligure. Fino al 4 febbraio 2018.
GENOVA. Un nome antico, fiero, di eremita solitario per boschi e rupi scoscesi: lo portava Rubaldo Merello (1872 – 1922), venuto alla luce nell’allora remota Valtellina ma trapiantato a Genova sin da bambino, dove il padre, ispettore delle dogane, rientrò dopo aver terminato l’incarico in Lombardia. Qui ebbe modo di attendere agli studi classici, e dal 1888 al 1892 frequentò l’Accademia Ligustica di Belle Arti, dove seguì i corsi di pittura e scultura.
La mostra, a cura di Matteo Fochessati e Gianni Franzone, costituisce un’occasione di conoscenza e approfondimento dell’opera di Merello, contestualizzata nel clima artistico italiano della fine dell’Ottocento, che vide fra i suoi protagonisti, fra gli altri, Longoni, Previati, Segantini, Nomellini, Pellizza da Volpedo, esponenti di quella corrente divisionista che trovava la sua cifra in quella fittissima tramatura di piccoli tocchi di pennello che, di fatto, sezionavano l’immagine in minute unità di colore. Il superamento della Macchia divenne quindi realtà, e il Divisionismo si radicò in particolare in Liguria, dove nacque la cosiddetta Scuola di Albaro, animata da Nomellini. Questa nuova corrente artistica si lasciava alle spalle il naturalismo di Fattori, Borrani, Lega, per esprimere sulla tela l’incontro fra una certa suggestione onirica e poetica, e la luminosità dei paesaggi; si comprende questo passaggio se si considera come il clima artistico europeo fosse in quegli anni di fine secolo attraversato da un sentire decadente che aveva dato vita, ad esempio, al Simbolismo e all’Espressionismo; s’iniziava l’analisi psicologica della realtà, e i canoni del naturalismo non erano più in grado di servire la causa del nuovo corso. A loro modo, anche i divisionisti fecero della “suggestione” la loro cifra concettuale, riportando molto spesso sulla tela quella realtà interiore che si agitava nel loro animo; mentre invece, il Simbolismo aveva un carattere psicanalitico più vasto, afferente a tematiche generali. Altra cifra del Divisionismo, l’attenzione al disagio sociale, sulla quale si concentrò in particolare Nomellini, sensibile alle condizioni di vita dei ceti operai; con sguardo leggermente più politicizzato, legato al socialismo, Pellizza da Volpedo ne segue le orme, ma non in maniera esclusiva, se è vero che anch’egli scelse per soggetti i paesaggi naturali.
Duecento le opere selezionate fra dipinti e disegni – 65 dei quali eseguiti da Merello -, organizzate in sezioni che si aprono sulle figure dei contemporanei Segantini, Previati, Nomellini, Pellizza da Volpedo, in dialogo con i pittori della “scuola ligure”, fra cui Domenico Guerello, Giuseppe Cominetti, Cornelio Geranzani. Attraverso il Divisionismo nasce l’epopea pittorica del paesaggio ligure, e Merello ebbe modo di conoscere di persona molti dei suoi colleghi, o comunque attraverso i loro quadri, e furono per lui di stimolante confronto estetico.
La sua pittura si esprime attraverso colori caldi e suggestivi, come la fiamma ardente di un grande camino, e in quel ritornare del paesaggio ligure – fra boschi, insenature, spiaggette appartate, marine, borghi arrampicati sulle pendici appenniniche -, si avverte il ritmo di un racconto interiore, la storia di un rapporto emotivo con quella natura solenne e incontaminata. E la dimensione psicologica ed emotiva emerge dallo sfrangiamento del dato di realtà, in un approfondimento della lezione divisionista elaborata con una personale vena di Simbolismo.
Nel 1906 Merello si trasferì a San Fruttuoso di Camogli dove rimase sino alla fine del 1913, quando scelse di stabilirsi a Santa Margherita Ligure. Nel piccolo golfo nacquero alcuni dei suoi dipinti più intensi, ispirati da quell’angolo di paradiso appartato dal caos, sorta di luogo dell’anima dove trovare la serenità che una personalità inquieta come Merello agognava, come si evince anche dall’intensità delle sue pitture, i cui colori vibranti vanno oltre la funzione cromatica, per farsi portavoce di sensazioni interiori, angosce, speranze, utopie, o semplicemente desiderio di un po’ di silenzio. A San Fruttuoso il pittore ebbe modo di sviluppare la sua predilezione per il mare, un elemento la cui liquidità è, come già accaduto con gli Impressionisti, elemento ispiratore di sperimentazioni pittoriche, fatte di vibrazioni cromatiche e luminose.
Intanto, l’Europa del primo Novecento, pur in piena Belle Époque, scopriva l’inquietudine di una modernità che si rivela sempre più violenta, dominata dalla tecnologia (anche se il Positivismo è già entrato in crisi), e attraversata da nazionalismi che porteranno a due guerre mondiali nell’arco di pochi anni. E la natura dipinta da Merello sembra essere un estremo rifugio alla violenza dei tempi, che sicuramente dovevano apparire poco attraenti agli occhi di una personalità come la sua, schiva del mondo e votato all’arte e alla contemplazione.
Merello scomparve a Santa Margherita Ligure nel gennaio del 1922, nel pieno della maturità artistica, probabilmente anche amareggiato dai drammatici cambiamenti che stavano attraversando quell’Italia rurale e liberale nella quale era nato e cresciuto. Ci riesce difficile immaginare questo artista in sintonia con un clima artistico dominato dai Futuristi (anche se Soffici predicava il “ritorno all’ordine”), ma soprattutto con il caos sociale dovuto ai lutti e alle sperequazioni della Grande Guerra, e all’imminente colpo di Stato di Mussolini.
Una mostra che documenta una stagione importante dell’arte italiana, e fa luce su una figura sulla quale ancora resta da studiare e approfondire.
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