Ritornare nella propria città e non riconoscerla. È quello che mi è successo a fine anno, portando in giro per Salerno un gruppo di amici toscani.
Organizzo un percorso abbastanza scontato, sfruttando l’appeal di Luci d’artista. Partiamo dal lungomare all’altezza di piazza della Concordia per prendere confidenza sia con il lunato golfo che con le prime installazioni. Qualcuno dei pinguini di Antartide è spento ma l’impatto è comunque efficace e prepara l’installazione bellissima della Rotonda, i Miti del Mediterraneo. Da lì procediamo con le altre luci artistiche del centro storico, parecchio suggestive. E passeggiando, qualche “cuoppo” di pesce da gustare nel reticolato magico della città longobarda. Veniamo risucchiati dalla fiumana umana, ma è tutto così ben indirizzato da non turbarci più di tanto.
Luci d’artista promosse, l’idea è vincente nonostante che qualcuna delle installazioni sia poco più di una luminaria di lusso. La passeggiata fino al Crescent e alla stazione marittima progettata da Zaha Hadid divide di nuovo il mio gruppo di amici: opere belle e possibili, o brutte e impossibili. Proprio così, cinque a cinque. Come il diavolo e l’acqua santa. Come Vincenzo De Luca e Vincenzo De Luca.
La prova vera è fissata per il giorno successivo: il centro storico alla luce del sole. Una gioia scoprire che continua ad esistere la città nascosta. Un’emozione entrare nella città del silenzio. La prima, Salerno nascosta, ci ha condotti alla Chiesa di Santa Maria de Lama, ai suoi gioielli longobardi, alla sua millenaria dimensione “acquatica”, testimoniata da resti molto compromessi (e molto suggestivi) di pittura longobarda. Abbiamo visitato Santa Maria de Lama grazie all’apertura speciale fatta per noi dalla locale sezione del Touring Club Italiano. Lì, e da lì inoltrandosi negli antichi rioni, tutto meriterebbe visite accurate per scoprire quegli scorci e quell’armonia che Alfonso Gatto celebrò per tutta la vita, rivelando agli italiani il “gioiello medievale” che è nel cuore di Salerno. Abbiamo visto molto per godere anche al ricordo, non abbastanza per avere un’idea precisa del fascino non compiutamente espresso della città. La domanda è: c’è una maniera per portare la parte più sensibile dei turisti di Luci d’artista a scoprire l’incantevole street art di Fornelle? La maniera per far leggere a tutti, quello che gli abitanti di quel rione così ben recuperato, dalla travagliata storia millenaria, hanno sempre sotto gli occhi? I muri delle case di Fornelle sono splendidamente affrescati con versi e citazioni. Poesia pura, che ridà dignità estetica al rione degli Amalfitani, e dignità sociale ai suoi straordinari abitanti/attori. Il Giardino della Minerva, al quale si arriva proprio prendendo l’ascensore da Fornelle, è ben tenuto e molto visitato.
Il pezzo da novanta – il Duomo con il suo Atrio e soprattutto gli Avori salernitani – l’ho riservato alla mattina del primo di gennaio. Peccato per quell’aria da piccola parrocchia che si respira al Museo Diocesano, dove un personale eccitato dalle numerose visite divide istericamente il pubblico di chi va a vedere le incantevoli storie d’avorio con quello che arriva sino a lì solo per il presepe di sabbia, ignaro della bellezza commovente che è sopra la sua testa, al primo piano del bel palazzo diocesano. Il vertice del kitsch lo abbiamo toccato essendo costretti a vedere le sacre tavolette con il sottofondo di “moderni” canti natalizi.
Del Duomo e del suo Atrio non scrivo perché lì, in anni perduti, si è svolta la parte più esaltante della mia vita di musicista. Sarei insopportabilmente di parte. Ma le due facce di San Matteo nello splendore abbagliante della Cripta, la regale sepoltura di Margherita di Durazzo e gli archi che cantano l’armoniosa bellezza del quadriportico, continuano a sedurre vecchi e nuovi loro innamorati.
E per finire, il concerto di Capodanno nell’ottocentesco Teatro Verdi. Il programma era un rifacimento in chiave salernitana di programmi nati in altre città e da climi musicali diversi. Forse si potrebbe osare di più, un programma originale (non l’ha ordinato il patrono dei musicisti che a Capodanno bisogna suonare e ascoltare i valzer degli Strauss) che renda onore ad un’orchestra volenterosa. Comunque, clima festosissimo. E tanto basta.
(Foto di Teresa Ceccherini)
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