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11 Feb

Andrea Mantegna, l’antico che si fa moderno

Va in scena a Palazzo Madama l’epopea del primo Rinascimento italiano, in una grande mostra sul genio di Andrea Mantegna in dialogo con Donatello, Paolo Uccello, Andrea del Castagno. Cento capolavori esposti, con prestiti da tutto il mondo per un ampio spaccato sull’arte italiana del Quattrocento. Per completare il percorso, un apparato di proiezioni multimediali porterà idealmente a Torino celebri affreschi come la Camera degli Sposi e i Trionfi di Cesare. Fino al 4 maggio 2020.

Andrea Mantegna, Pala Trivulzio, 1497, Pinacoteca del Castello Sforzesco, Milano

TORINO. In quel primo Quattrocento i lumi della civiltà tornarono a splendere su un’Italia che, seppur lontana dall’unità, conosceva una relativa stabilità interna in seguito all’assestamento dei principali soggetti politici e all’equilibrio fra essi raggiunto. Un clima che favorì lo sviluppo culturale e il dialogo fra i vari artisti e territori, permise la circolazione del sapere e contribuì in maniera sostanziale alla diffusione del cosiddetto Rinascimento. Che nella sua prima fase ebbe fra i suoi protagonisti il veneto Andrea Mantegna. Nato sotto le bandiere di San Marco, a pochi chilometri da Padova, si formò nella bottega dello Squarcione che gli trasmise il gusto per la citazione archeologica e lo introdusse al clima artistico del primo Rinascimento, mutuato dalla lezione di Donatello; il giovane Mantegna, però, approfondì gli studi sui suoi contemporanei entrando in contatto con altri artisti che in quegli anni frequentarono Padova o vi lavorarono: Filippo Lippi, Paolo Uccello, Andrea del Castagno. Con simili esempi, poté formarsi compiutamente sugli sviluppi artistici dell’epoca, poté respirare l’umanesimo che traspariva da tele, affreschi e sculture improntate a ritrarre l’individuo e la ricerca dell’armonia fra questo e l’universo, in combinazione con la riscoperta dell’arte classica.

Fra i pezzi importanti della mostra, l’affresco staccato dalla Cappella Orvetari nella chiesa degli Eremitani a Padova, eseguito a partire dal 1448 e primo lavoro da artista indipendente, dopo aver lasciata la bottega dello Squarcione. Esposto per la prima volta dopo un lungo restauro, l’opera rappresentava una sorta di “trionfo” su toni religiosi, con scene delle vite dei santi, e un maestoso Giudizio. Distrutto da una bomba nel marzo del 1944, se ne conservano oggi soltanto due scene complete e alcuni frammenti. Dai quali si può comunque intuire la grandiosità originale di un’opera che rappresenta non solo una celebrazione della cristianità, ma anche delle maestose e armoniche proporzioni di quell’architettura rinascimentale (utilizzata da Mantegna come sfondo ideale delle scene), che è a sua volta metafora dell’armonia platonica cui tendono le aspirazioni del nuovo clima politico e culturale.

Andrea Mantegna, Baccanale con Sileno, 1470 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

L’individuo si muove in uno spazio conoscibile e misurabile con il libero arbitrio. Mantegna rende omaggio alla maestosità dell’architettura classica greco-romana, in questo come in altre opere, non per fini decorativi ma con lo scopo di rendere una filologica ricostruzione storica degli ambienti, cui si aggiunge quella dei costumi. Celebrazione dell’antico in chiave moderna, una quinta su cui si muovono individui carnali, consapevoli del loro ruolo sulla Terra; santi, peccatori, soldati, ognuno concorre al variegato “teatro della vita”, dove emozioni, dubbi, aspirazioni, si rincorrono e accavallano nella frenesia della vita quotidiana. La vivezza dei colori, si tratti di opere mitologiche, religiose o a carattere storico, esalta l’armonia compositiva che celebra la variopinta e raffinata società italiana del Quattrocento.

Particolarità dello stile di Mantegna, le ardite prospettive che caratterizzano i suoi sfondi, mutuate da un attento studio di Donatello prima (inventore del celebre “stiacciato” che ebbe nel Pulpito di Santo Stefano a Prato uno dei primi esempi in Italia), e di Piero della Francesca dopo; prospettive che sovente diventano “illusioni ottiche”, giochi di angolature e linee oblique, metafore di quegli aspetti della realtà indagabili con l’intelletto, a significare come ogni individuo sia libero di costruire un suo proprio universo sensibile e spirituale. Dai Cesari agli dèi mitologici, fino agli umili lavoratori delle folle cittadine, tutti i personaggi di Mantegna sono uomini e donne del Rinascimento, dotati di libero arbitrio con cui possono compiere il bene e il male. Si sviluppano in questi anni i primi esempi di pittura civile moderna, impreziosita dai continui richiami alla bellezza classica.

Cuore pulsante della mostra, i tanti anni trascorsi dall’artista a Mantova, all’epoca splendida corte dei Gonzaga che rivaleggiava con Firenze, Urbino e Ferrara in quanto a raffinatezza, livello culturale e mecenatismo, che accolse Mantegna dal 1460 alla sua scomparsa nel 1506. Fu quindi la città cui l’artista legò il suo nome in maniera più duratura e memorabile, e dove trovò splendida accoglienza da parte di Ludovico III, che lo invitò espressamente a trasferirsi in città e, riconoscendone il valore, lo nominò pittore ufficiale di corte, ma anche consigliere artistico e curatore delle raccolte d’arte. Anche da questo punto di vista la mostra è un’importante occasione di riflessione su un’epoca in cui il potere, pur oligarchico e autoritario, aveva almeno il gran pregio di capire, apprezzare e valorizzare gli uomini di talento.

In copertina: Ecce Homo (particolare)

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