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28 Giu

L’oscura bellezza di Pittsburgh secondo W. Eugene Smith

Per i cento anni dalla nascita di W. Eugene Smith, esposto per la prima volta in Italia il reportage sulla città industriale di Pittsburgh: un ritratto poetico e grandioso di una delle città artefici dell’American Dream. Alla Fondazione MAST di Bologna fino al 16 settembre 2018.

W. E. Smith, Bambini che giocano, Hill District, 1955-1957, Carnegie Museum of Art, Pittsburgh © W. Eugene Smith Magnum

BOLOGNA. Nel 1954, già affermato e famoso, abbandonò Life, di cui era il fotografo ufficiale, e scelse di seguire il richiamo del Nord, liberandosi dal lavoro dipendente per assecondare il suo carattere introverso e la sua voglia di assoluto. Per uno strano caso del destino, proprio in quel momento William Eugene Smith (1918-1978) ottenne l’incarico di realizzare un reportage su Pittsburgh, in occasione del bicentenario della fondazione della città industriale più famosa di quegli anni, una di quelle dove stava nascendo il secondo American Dream, una città pragmatica, materialista, vivace, ma anche struggente, come la raccontò venti anni dopo Michael Cimino ambientandovi Il cacciatore; da parte sua, Smith si soffermò sull’identità industriale cittadina, scolpita dalle colate d’acciaio fuso e dai profili dei grandi stabilimenti produttivi dai cui altiforni, anche la notte, si alzavano suggestive lingue di fuoco. Prima ancora di New York, Pittsburgh fu “la città che non dorme mai”, e Smith era entusiasta all’idea di raccontarne la cultura del lavoro, l’assetto sociale, quel suo essere la “porta” del Grande Nord, spalancata su boschi e montagne d’incontaminata bellezza; una città in equilibrio fra la “terra vergine” dei pionieri e lo sviluppo industriale della modernità.

W. E. Smith, Stabilimento National Tube Company, U.S. Steel Corporation, 1955-57, Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, © W. Eugene Smith Magnum

Smith sentiva che quel reportage sarebbe stato il suo capolavoro, la sublimazione della libertà espressiva attraverso il racconto dell’anima di una città, un lavoro poetico e concettuale insieme, che avrebbe dovuto essere la metafora della sua concezione dell’arte e della fotografia. Ma come accade spesso con le imprese troppo meditate, quasi ossessivamente inseguite e troppo a lungo bramate, Smith non riuscì a raggiungere l’obiettivo: le 170 stampe che compongono la mostra, selezionate dal curatore Urs Stahel, provengono dalla collezione del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, e rappresentano solo una piccola parte dei quasi 20.000 negativi che Smith realizzò durante il reportage in città, la cui prevista durata di due mesi si prolungò in realtà per due anni e mezzo; l’enorme mole di immagini riuscì a trovare parziale pubblicazione nel 1915 sulle pagine di Photography Annual, ma senza quell’organicità e quella profondità d’indagine auspicate dal fotografo. La cui ricerca della perfezione era forse ossessiva, e lo portava a non ritenersi mai soddisfatto del proprio lavoro. In realtà, a quasi sessant’anni dalla pubblicazione, il reportage costituisce uno dei più affascinanti racconti per immagini della società americana vista attraverso una città; ognuna delle immagini è una testimonianza del reale, un viaggio nell’intimità sociale di un microcosmo costantemente proiettato in avanti, impegnato a costruire, a produrre, a pianificare.

Smith era un solitario che aveva con l’arte un rapporto carnale; l’arte non doveva rappresentare la realtà, bensì doveva “essere” la realtà, fondendosi con essa in una drammatica simbiosi: solo così si riusciva a vedere oltre la menzogna dell’apparente. E portando l’obiettivo in giro per la città, Smith ne fissa sulla pellicola il volto industriale e il volto ludico, quello sociale e quello politico. Il suo bianco e nero non è mai luminoso, anzi è oscuro, quasi fosse la metafora di un sipario semichiuso sul palcoscenico della vita quotidiana. Da questo punto di vista, Smith riesce a catturare l’atmosfera fiabesca del Grande Nord, cantato da Bob Dylan pochi anni dopo in Girl from the North Country; nonostante non si sentisse soddisfatto del risultato, è tuttavia possibile affermare che il suo racconto per immagini della città di Pittsburgh costituisce, nell’era dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione, un toccante ed efficace documento sui cambiamenti che stavano interessando la società contemporanea.

(in copertina: Forgiatore / Steelworker, 1955-1957, Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print 23.49 x 33.34 cm, Gift of Vira I. Heinz Fund of the Pittsburgh Foundation, © W. Eugene Smith / Magnum)  

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