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9 Ott

Werner Bischof, un fotografo artista

Dall’Europa all’America Latina, passando per New York e l’Estremo Oriente: 105 scatti, dal 1937 al 1954, selezionati dal curatore Maurizio Vanni, raccontano la carriera di Werner Bischof, fotografo artista scomparso prematuramente sulle Ande nel 1954. Al Lucca Center of Contemporary Art, fino al 7 gennaio 2020.

Werner Bischof, On the road to Cuzco, near Pisac, Peru, May 1954 © Werner Bischof, Magnum Photos

LUCCA. La sua carriera di fotografo cominciò quasi per caso, perché il corso di pittura che voleva frequentare all’École des arts et métiers era già chiuso, e quindi ripiegò su quella che era stata la dilettantesca passione del padre. Ma Werner Bischof (Zurigo, 1916 – Trujillo, 1954) concepì sempre, nel corso della sua purtroppo breve carriera, la fotografia come una forma d’arte a tutti gli effetti, più che un semplice mezzo di documentazione visiva. Si formò a Zurigo con Hans Finsler e Alfred Willimann (quest’ultimo un insegnante di arti grafiche), e la concezione che aveva del mestiere emerge subito nei suoi primi lavori, realizzati nella città natale. Sulla scia di Man Ray, ma non solo, studia la luce, il corpo femminile, gli aspetti più nascosti della natura come le spirali dei gusci delle lumache; un “tirocinio” che gli sarà utile per proporre interessanti novità sui giochi di luce e ombra, e negli anni Quaranta a Zurigo si affermò come fotografo di moda. Tuttavia il suo interesse lo spingeva verso i grandi temi sociali, e pur risparmiato dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale (era cittadino svizzero), decise comunque, una volta tornata la pace, di documentare le distruzioni che avevano sfigurata l’Europa. Percorse la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, incontrando ovunque lutto e desolazione; eppure, con la sensibilità del vero artista, Bischof riesce a infondere grazia anche alle immagini più crude, giocando con la luce che crea straordinari effetti di poesia.

Dall’esperienza di aver toccato con mano le distruzioni della guerra, l’interesse per l’attualità sociale prevarrà definitivamente sul suo lavoro, e lo spinge ad abbandonare la fotografia di moda per dedicarsi a reportage in giro per il mondo. Nel 1949 la Magnum, nata appena due anni prima, lo reclutò tra i suoi fotografi (dopo che molt suoi lavori erano apparsi su Life).

Attraverso l’obiettivo, Bischof cercava di fissare sulla pellicola la verità non soltanto dell’immagine ma dell’atmosfera e delle circostanze, scavando nei sentimenti delle persone che ritraeva, nei dettagli della quotidianità, e così facendo si è dimostrato un narratore, un osservatore della vita vissuta, capace di indagare il rapporto tra l’uomo e la natura e dell’uomo con se stesso.

In Giappone, Bischof tralascia lo sviluppo industriale e tecnologico per dedicarsi all’anima vera del Paese, fatta di templi shintoisti, di ciliegi fioriti, di antichi palazzi e monaci negli antichi abiti da cerimonia. Una civiltà ancora fuori dal tempo, di cui Bischof ci restituisce tutta la profondità filosofica. E in India, durante la grave carestia che colpì lo stato del Bihar mietendo migliaia di vittime, il suo obiettivo si posa con pietà sugli sguardi delle persone, sui poveri villaggi di fango, sui sari delicati delle donne, sui loro anelli da naso, e in mezzo alla desolazione riesce a restituire a chi soffre la dignità di essere umano.

Paradossalmente, questa sensibilità d’artista lo pose in difficoltà con le redazioni delle grandi riviste, che s’interessavano agli aspetti sensazionalistici e spettacolari delle fotografie, perché più facilmente vendibili, e tralasciando le implicazioni sociali ed estetiche cui invece Bischof faceva riferimento.

Scomparve in un incidente stradale occorsogli in Perù, mentre sulle Ande stava realizzando un reportage dal consueto taglio artistico e antropologico, volto alla conoscenza di quelle vette quasi inaccessibili e dei discendenti delle antiche civiltà che le abitarono un tempo. Uno degli ultimi scatti, il celebre ragazzo con il flauto, può essere considerato la sintesi della ricerca di Werner: la realtà, la bellezza e la poesia, tutte insieme immortalate sulla pellicola.

In copertina: Werner Bishof, Employees of the Tata Iron and Steel Company on their way to work, Jamshedpur, India, 1951 © Werner Bischof, Magnum Photos

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