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27 Gen

A Enrico Bronzi non basta suonare superbamente il violoncello

Musicista brillante e dalla vastissima cultura, Enrico Bronzi, quarantacinquenne di origine parmense, è unanimemente riconosciuto oggi come uno tra i più grandi violoncellisti del panorama nazionale ed internazionale. Intelligenza e sensibilità fuori dal comune ma anche una cospicua dose di curiosità e intraprendenza ne fanno il musicista completo che tutti conosciamo: solista, direttore d’orchestra, camerista, didatta e direttore artistico, si divide tra le esibizioni nei templi sacri della musica classica, le docenze all’Universität Mozarteum Salzburg, l’impegno organizzativo dell’Estate Musicale di Portogruaro e la Fondazione Perugia Musica Classica e le registrazioni discografiche. Studi musicali iniziati nella sua città e l’affermazione al Concorso Rostropovich di Parigi e al Paulo Cello Competition di Helsinki; nel 1990 fonda il Trio di Parma con cui svolge un’intensa attività concertistica. Tra gli interpreti di riferimento di celebri bacchette come Claudio Abbado, collabora con musicisti del calibro di Martha Argerich, Quartetto Hagen e Gidon Kremer. Dopo aver seguito le lezioni di Jorma Panula si dedica alla direzione d’orchestra ed è direttore ospite di compagini orchestrali tra cui Orchestra Mozart, Orchestra di Padova e del Veneto, Filarmonica Marchigiana e Virtuosi Italiani. Lo incontro per domandargli dei suoi vari volti di musicista, della sua folgorante carriera e dei progetti per il futuro.

Il violoncello nella sua vita: quando vi siete incontrati e come è scoccata la scintilla?

«I miei genitori erano abbonati alla Società dei concerti di Parma e ho ascoltato da bambino violoncellisti affascinanti come Paul Tortelier. Inizialmente volevo iscrivermi alla scuola di liuteria, ma dopo l’approccio iniziale con il violoncello me ne sono dimenticato per molto tempo. Ho però ancora un sussulto quando entro in una bottega di liuteria e ne sento i profumi». 

Gli importanti riconoscimenti ai concorsi Rostropovich di Parigi e Paulo Cello Competition di Helsinki quanto hanno inciso sullo sviluppo della sua carriera?

«Sono tappe che servono soprattutto a creare un po’ di fiducia in sé stessi e che ti costringono a lavorare seriamente. Si parla spesso con riserva dei concorsi, ma forse non è tutto da buttare». 

Sono tanti gli esecutori di grande successo che decidono di dedicarsi alla direzione d’orchestra: nel suo caso perché questa scelta?

«Alla base c’è l’amore per la partitura e il desiderio di affrontare le pagine in cui i compositori danno il meglio di sé, come spesso accade nel repertorio sinfonico».

Solista, camerista, direttore d’orchestra e didatta: come concilia questi differenti volti dell’essere musicista e quale sente più suo?

«Mi piace soprattutto il migrare delle esperienze che si verifica quando la tua attività è stratificata. Va tutto insieme, anche se forse ho una predilezione per l’aspetto speculativo e mi appassiona meno la “ginnastica” quotidiana dello strumentista, pur necessaria».

Trio di Parma (Ivan Rabaglia, Enrico Bronzi e Alberto Miodini)

Fondatore del Trio di Parma nel 1990, un affiatamento di lunga data che prosegue tutt’oggi. Cosa vi accomuna e cosa vi distingue dai tanti ensemble cameristici di uguale formazione presenti oggi sul mercato?

«Siamo personalità molto diverse, riunite dalla medesima visione dell’impegno cameristico. La sintesi delle differenze è forse l’aspetto che ci caratterizza di più».

Dal 2007 direttore artistico del Festival Internazionale di Musica di Portogruaro ed è stato recentemente nominato Direttore Artistico della Fondazione Perugia Musica Classica Onlus: come descriverebbe l’esperienza finora vissuta a Portogruaro e cosa significa per lei questa nuova intrapresa umbra?

«La componente organizzativa della mia attività è legata soprattutto alla mia curiosità. Ho diretto diverse realtà musicali: Portogruaro, la Società dei Concerti di Trieste, il Festival Nei Suoni dei Luoghi. Oggi trasferisco questa esperienza alla Fondazione Perugia Musica Classica, che é una realtà straordinaria e stratificata. Portogruaro è il luogo in cui ho fatto le mie prime, bellissime esperienze e penso che la chiave più importante sia stata la tematizzazione del festival, che diventava anno dopo anno un racconto musicale. Lo stesso farò alla Sagra Musicale Umbra. Credo che dovremmo comunicare il valore della musica come una delle grandi manifestazioni del pensiero umano, in grado di dialogare con tante discipline umanistiche. Molto spesso si organizzano eventi di “bella musica”, senza un pensiero che li inquadri. Sarebbe bello andare oltre questa impostazione».

Sempre dal 2007 è docente al Universität Mozarteum Salzburg, quali i suggerimenti più frequenti ai suoi allievi? E quale può essere oggi l’approccio vincente allo studio dello strumento?

«Il mio è un approccio didattico molto razionale e direi “fenomenologico”. Più il talento è grande, più deve essere nutrito di razionalità. Anche la ricchezza di colori è un fatto tecnico. C’è troppa cattiva letteratura sul “soffio creativo”. Molti artisti talentosi sono in realtà persone intelligenti e veloci nel creare sintesi».

A proposito, sulla sua “visione” sul futuro della musica classica, tema tanto dibattuto…innovazioni e possibili strategie?

«Credo anch’io che dovremmo ripensare alcuni aspetti della fruizione musicale, mostrando di più i meccanismi che stanno dietro all’interpretazione: prove aperte, lezioni-concerto, la parola qualche volta al pubblico, spazi informali, progetti tematici».

Quanto e come l’essere musicista “praticante” incide nella sua “altra vita” di direttore artistico (dal punto di vista ideologico di concezione della musica e di scelte concrete)?

«Mi illudo che possiamo comunicare la verità dei fenomeni musicali, andando al di là del racconto storico-biografico dei compositori e mostrando un po’ di “tecnica” musicale al pubblico. Credo che gli ascoltatori profani ne sarebbero molto interessati».

Una carriera importante alle spalle: intraprese ancora da affrontare?

«Ho amici neuroscienziati di grande fama e capacità. Avendone il tempo, vorrei fare studiare loro il cervello di chi ascolta musica e conoscere qualcosa in più dei meccanismi psichici profondi della percezione musicale, attraverso un approccio multidisciplinare».

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